Fra gli esopianeti
venivo a cercarti,
invocando nel vuoto
il tuo nome segreto.
Alle porte dei cieli
deposi il mio amore,
quasi certa sperando,
alla fine dei tempi,
di potere incontrarti.
Fra gli esopianeti
venivo a cercarti,
invocando nel vuoto
il tuo nome segreto.
Alle porte dei cieli
deposi il mio amore,
quasi certa sperando,
alla fine dei tempi,
di potere incontrarti.
Il futuro si annida
dietro a porte pesanti…
Chi l’avrebbe mai detto,
in quel mattino di sole
-Ti aspettavo alla soglia
quasi con il sorriso
e questi tre spilli
già fra il cuore e la gola-
che il cammino previsto
si sarebbe deviato?
Poi il cielo si è stinto
in un coro di vuoto,
alto un vento mi ha torto
fili d’anima in nodi…
Dopo un giorno e una notte
sì lo so, son tornata.
Ma la strada fu lunga
e io sono cambiata…
Che vuoto inesorabile
quello che viene visto
come felicità!
La sorrisite,
la pazienza santa,
la tolleranza…
Vita di segreti affanni
e qualche bonaccia,
avventure da yogurt scremato
e mezzo croissant.
Addentare la vita
da coppia sposata.
Mai soli mai. Beati noi.
La misura del tempo
è all’interno del cuore.
Il mio anno, signori,
è stato eterno
e così pesante
da curvarmi le spalle,
come potete vedere.
Mi ha levato il dono
della fata madrina
che fin dalla culla
mi dava la forza
di sperare
e trovare ogni giorno
uno scopo, qualcosa
da desiderare.
Ho passato il primo
del 2019
a dormire e pensare
a contemplare
il vuoto orrendo
che mi dilania dentro,
ho calpestato le ore,
consumato il divano,
ho gridato all’interno
senza sprecare
un filo di voce.
E sì… nel 2018
mi hanno fatto del male.
Tanto.
Equilibrio perfetto
fra il vuoto che ho dentro
e questo bel tempo.
Nessun flusso o riflesso
della psiche allo specchio
solo una figura illusa
di una tridimensionalità
che invece non ha.
Mi lavo i capelli
però non li asciugo
ed ecco che spunta
la mia anima annodata,
tormenti ritorti
di ciocche sottili,
sarebbero boccoli
se avessero un nesso,
però basta questo
per darmi più senso,
quasi inseguendo
la libertà.
Adesso la solitudine
ha una voce di macchina,
tubi dell’acqua,
turbìne in cantina,
chissà. Respiri del nulla
e io qui da sola
con la mia voglia di dire,
riempire, riempire
il vuoto di un tempo
che più si prolunga,
più perde senso.
Intanto che ascolto,
mi sento, respiro,
amo tossire, così,
tanto per fare…
Sottovoce racconto
alla ventola chioccia,
noiosa ma fresca,
il nonsenso dell’essere
senza il capire.
Nessun nuovo testo aggiuntivo
diario svuotato di senso,
pagine bianche, niente succede.
Mi sento una tela di Fontana,
l’anima sforacchiata dal nonsenso,
il vuoto all’infinito ripetuto dentro.
Manca il valore aggiunto
Del taglio d’autore, un vernissage,
un po’di pressing intorno…
Non sono di moda, sono uno straccio,
la tela di un lurido sacco,
come un Burri, ma senza l’autore,
palandrana da poveri e, sotto,
i buchi nel cuore.
Oh come sarebbe bella
la simmetria del tempo
così da poter tornare
e che quello che fu rotto
si potesse aggiustare,
oh come sarebbe bella
la rarefazione
in perfetto equilibrio
con la continuità
della creazione,
così che l’infinito
avesse un senso
e che l’universo
quasi vuoto
e quasi peno
fosse perfettibile
e perfetto insieme!
Qualcosa di tremendo
sta succedendo ora
verso i radi confini
dell’universo.
Lo so. Lo sento.
A me succede
di avere turbamenti
dei miei sensori
spazio temporali,
le antenne in sintonia
col tutto cui appartengo,
ed è temendo, di notte,
sentirle vibrare.
La rarefazione esterna,
la similitudine del dio
poco denso col nulla
del vuoto più estremo
e molto, molto lontano
non è un buon pensiero.
Sarà un bel giorno, invece,
quando il cammino
riprenderà all’inverso?
Ce la farà il dio
a ritornare denso
fino stritolarci
nel suo seno?
Finirà, per quel non tempo
il suo bizzarro parto
di differenziazione
che noi chiamiamo male?
Una difficoltà incommensurabile
a uscire dalla contemplazione
di un mio vuoto scuro, doloroso
opaco e calmo in modo spaventoso.
Strano toccare il fondo senza cadere
e senza preavviso. Eppure qualcuno
di nascosto in silenzio mi ci ha spinto.
Non so quanto tempo in ore o anni
richiederà il mio risalire fangoso
perché c’è dolcezza, amaro trastullo
nel non vivere senza dover morire…
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