Forse sarà la sera
a raccontarmi,
quando, velato il cuore
e morte le parole,
mi troverà già stanca
perfino per dormire.
Traccianti in luce
fredda i miei pensieri,
non morti, ma silenti
i desideri
ed una strana febbre
che non mi fa morire…
Forse sarà la sera
a raccontarmi,
quando, velato il cuore
e morte le parole,
mi troverà già stanca
perfino per dormire.
Traccianti in luce
fredda i miei pensieri,
non morti, ma silenti
i desideri
ed una strana febbre
che non mi fa morire…
Sabataccio infame
dopo una notte infame…
Dracula nella mia strada
come un topo squittiva
spingendo un carrello
con dentro la bara
che gli serve da letto
sul far dell’aurora,
non può correre rischi
di vivere il giorno.
Io ci sono costretta,
ma mi sento già morta,
e porto gli occhiali,
per perdere il sole.
Pigramente stagnanti
sul tagliere bagnato,
variegate interiora
di melanzana,
così alla deriva
e alla soglie del sogno,
s’alzano in volo
da dentro la mente
come verde farfalla
a suggere il rosso
di un fiore marcito
sull’acqua di un fosso
e un mostro, una rana,
o un bel pesce palla
le segue, le guarda,
e forse, le mangia.
Sono così stanca
che il fischio del merlo
le orecchie mi fora.
Vedessi la fronda
incolta di rosa
come si stende
di appoggio bramosa
e pesa di fiori nell’aria
odorosa!
Così stanca, come la rosa
non trovo una spalla
su cui rampicare
e penso, oramai,
che questi miei graffi
che porto sul cuore,
muovendomi il vento
a caso, impietoso,
li abbia inferti io stessa,
ma senza volere
e intanto già muoio
fiore per fiore…
La tortora canta,
funerea, in amore.
E poi l’altra notte
il varco si è aperto…
Il campanello suona,
(quel campanello
che nessuno mai trova)
e spalanco il portone.
Fuori, solo la notte,
una notte che trema
e io già lo sento,
fortemente lo abbraccio,
finché si fa osseo
e poi cinto di carne
ed è corpo fuggiasco.
Lo trattengo a me contro,
attraverso la soglia,
lo porto alla luce,
e nell’atrio di casa
alla fine lo incontro.
“È Kokoschka” io grido
“è Kokoschka il pittore!”
Chiudo un attimo un occhio
e vedo un suo rosso,
basta un poco di rosso
ed è squarcio nel cuore.
Ha portato per cena
solo umili cose:
una borsa di pane
e verdure in stagione.
Gli osservo i capelli,
sagomati nel nero,
la sua faccia allungata,
e lo sguardo, tagliente,
che seziona la massa
di materie agitate
per dipingermi l’anima
come sempre sa fare,
generoso di linfa.
e di mota e di sangue,
impurità inconfessata
del più puro colore…
Dal notaio diventiamo
persone di carta,
se vendi una casa,
se compri una casa,
se un giorno poi muori,
se lasci i tuoi ori
e il cuore, intanto…
Prima che il Libeccio
proprio ti uccida
fustigando di sabbia
la tua rorida schiusa,
ad un caldo sacello
nella casa festosa
e allo sguardo pietoso
di chi tanto ti ammira
concedimi, o rosa,
d’immolarti recisa
e, se fosse un pittore
chi di sguardi ti onora,
alla lunga memoria
che le tele colora.
Ma quanto tempo ci vuole
per sistemare le cose…
Certe ore che tessono
un drappo di eterno
come il manto che copre
l’intero universo
e piccole cose
vi galleggiano dentro:
la telefonata per strada,
una crisi di pianto,
il sudore alla fronte,
le attese, il rimpianto,
il tuo viso da elfo
che si fa bianco bianco,
tutto quasi per niente:
Un effimero istante
in cui fummo felici
e sorrisi di stelle
anni luce distanti
e già morte, ma belle.
Un vero tormento della vita
è programmare,
quando la giornata è finita
affollare il domani
fino a farlo scoppiare,
dal poco, l’igiene personale,
-mi lavo prima i denti
o prima faccio il bagno?-
a quello che succederà
al mio funerale.
Io voglio che nessuno pianga
e cibo e vino, in abbondanza
e abiti stracciati dal dolore,
come imporrà la circostanza.
Sarà la mia festa a sorpresa,
talmente sorprendente
che mi sorprenderà
protagonista assente.
E fu la sera a parlare
… Un rampichìo
di spine e di rose
su un raggio di sole,
mentre il verde
intrecciarsi dei rami
sul ruvido muro
trascolorava già in nero
e il vento sbadigliato
e lento di primavera
mi portava il lamento
cremoso di un petalo
caduto, un gemito
di piuma e il vagito
di un nuovo bocciolo…
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