Giochi di tende
disegna il vento
sulle pareti
gioiosamente
e bioccoli porta
di odore di tiglio
mentre racconta
la primavera.
Ora il mio cielo
è in questa stanza
e la speranza
una dolce chimera.
Giochi di tende
disegna il vento
sulle pareti
gioiosamente
e bioccoli porta
di odore di tiglio
mentre racconta
la primavera.
Ora il mio cielo
è in questa stanza
e la speranza
una dolce chimera.
Oggi è stato difficile
far tornare il sereno,
persino il sole
pareva sfinito,
lottando col vento
e una pioggia inclinata
che batteva sui vetri,
e poi scivolava.
Così come la vita,
tentativi ed errori,
alternanza ostinata
di speranze e dolori,
grandinate sul cuore,
ogni tanto l’amore.
Un mattutino
cantato dal vento
che porta da occaso
rotolii di campane
mentre io giaccio ancora
in difetto di sonno
con la testa percorsa
da un bel trillo di squilla,
il registro ad ancia
di un gran mal di capo,
solennità d’organo
del mio corpo sdraiato
e mi chiedo nel buio
come sia questo giorno,
se sia il sole a segnarlo,
di speranze tardive
infiorando le ore
di un ottobre piovoso,
o se invece la pioggia,
trattenuta nel grembo
ed alfin partorita,
darà vita ai miei mostri
e al veleno dei funghi
sotto i piedi sgualciti
dall’andare per boschi…
Già assaporo nell’aria
con il mio naso saccente
qualche sentore d’autunno
e poco capisco l’insistenza del tiglio,
la persistenza mentale dell’odore,
come se il mio cuore battesse
il tempo di giugno e il suo sole.
Lo chiamano rimpianto, ma io no,
quest’anno è stato tutto così uguale
e, per certi versi, brutale. Addio lembi
di estate sdraiata sul mare,
lacerata a sangue dalle unghie
di un vorace dolore, il boia
delle mie ore! Quindi anche l’onda,
col suo trasparente chiarore,
mi rimanda l’olfattiva memoria
algale del nascere e del partorire,
pur nell’ostinata asciuttura
di queste mie misere ore. E respiro,
avidamente respiro anche la neve,
dell’immortale ghiacciaio
che il vento iemale risveglia
in bianche fumate di gelo.
Bellissimo peraltro l’umidore,
senza quasi rumore né odore,
del prossimo inverno a venire.
Amami forte
come un uragano,
scuotimi tutta,
ch’io mi senta viva,
non lasciar scampo
alla mia fuga
e, quando suoneranno
cupe le campane,
sarà per la tua furia
che incresperà la terra
e la farà tremare verga
a verga e sarò infine tua
in quell’ora d’alleluja,
quando s’incendia il cielo,
si curva il prato al vento,
si inarca tutto il corpo
e poi pian piano muore
mentre si spegne il sole.
Un’elemosina d’estate
per una mendicante del tempo
fra questi rovi incendiati
dall’infuriare del vento,
la salamoia del pianto
e i voli neri radenti
di cormorani affamati.
Che il soffio fresco e forte
del vento del mattino
dispieghi le tue vele, figlio,
ti spinga sano e salvo
al porto dei tuoi sogni,
per quanto sia lontano.
A tutti i Pietro, a tutti i Paolo vadano i miei migliori auguri di Buon Onomastico!
Terrazza al quarto piano,
sciorina le sue ali nel vento
un enorme gabbiano
su un tetto poco lontano
sciogliendo in cielo
un roco canto lento.
Poi vola via contento
dopo l’accoppiamento.
La femmina, sorpresa, resta,
nella prima sera pare mesta.
Ecco che piove, infine.
Forse ci farà bene.
Intanto, qua fuori,
il tavolo deserto
offre il suo grembo
al pianto del cielo.
Nudità del dolore,
grande silenzio
di cani, passeri
e poveri umani.
Lontano, col vento
l’urlo grigio del mare…
Oggi, a Castiglioncello,
mi sono seduta al caffè
della piazza, c’era il sole,
niente vento, una metamorfosi
del tempo che germinava viole
nel grembo dell’inverno,
promettendo un marzo caldo
e fecondo. E c’era la mia corte
di passeri affamati, dignitosa,
senza mendicare mi guardava
con tanti occhiuzzi tondi, attenti
e io facevo la mia attesa mossa
seminando briciole a spaglio
con ampio gesto divino,
un paradiso in terra, la manna.
E c’era un piccoletto bruno,
di piuma, diverso dallo stormo,
bello, sano, forte,
ma terribilmente tardo.
E io che fintavo per dargli
un poco di cibo. Finta a destra,
lancio a sinistra. E sono riuscita,
un poco, a sfamarlo, pensando:
Piccolo figlio, troppo mite…
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