Nembifero
Orizzonte
Vela
Estenuandolo
Mattinale
Bruma
Rarefatta
Esangue
Estivalia
Rimpiangendo
Brine
Marmate
Evocano
Vane
Ombre
Notturne
Nembifero
Orizzonte
Vela
Estenuandolo
Mattinale
Bruma
Rarefatta
Esangue
Estivalia
Rimpiangendo
Brine
Marmate
Evocano
Vane
Ombre
Notturne
Avatar,
Biotecnologico bipede,
Clone cibernetico,
Dinamico
Esemplare elettronico,
Futuristico
Giocattolo
Ho
Inventato.
Lusso
Moralmente
Nocivo,
Oppure opera
Preziosa,
Quantico
Ragionante robot,
Sostituto
Tecnologico, tanto
Utile utensile
Virtualmente vivo
Zoomorfo?
L’onda scende
s’avvalla si distende
struscia il suo ventre
sul limo pigramente.
Io naufragando
la sottendo azzurramente
annaspando nei ricordi
dolceamari della mente.
Per illustrare i miei versi propongo un quadro di Athos Rogero Natali, che fu pittore, ideatore ed esecutore di vetrate istoriate e scenografo, artista poliedrico nel panorama culturale del ‘900 livornese. Qui un’intensa raffigurazione dello scoglio della Meloria in un giorno di vento.
I miei chiari capelli
sono molto più sani,
scendon folti e setosi
sulle spalle incurvate
da trascorsi tediosi
e le unghie graziose
mi ricrescono a vista
sulle dita invecchiate
da passaggi di artrosi,
la mia pelle si tende,
si fa liscia e sottile,
io mi guardo allo specchio
e la ruga non c’è,
ma il respiro si affanna
e l’ossigeno arriva
a nutrire i polmoni.
Poi si attarda a far belle
altre parti di me.
Nel caso non lo aveste mai incontrato, vi presento Ugo, l’avventuroso pesciolino che nuotava nel mio presepio subacqueo di qualche Natale fa. Ma come farà a cacciarsi in acquari così particolari?
Assurdità in equilibrio
come una palla morbida
per la riabilitazione
sulla stampante dello studio
ferma immobile, relitto
nell’urgenza di far posto
al robot aspirapolvere,
altra anima di una vita
sempre più artificiale.
Fuori intanto giace la corte,
fazzoletto fra i palazzi,
geometrica, fumettisticamente
claustrale. Eppure. Chi molcirà
l’abisso della vuota solitudine
che ogni sera mi assale?
Forse i pallini di Lichtenstein?
Vorrei volare,
vittoriosa vela
venti valicare.
Vallate vibranti
vaste visitare,
vita vincente
virgulti vernali
verdi vestire.
In ansiosa attesa di una vera Primavera, che porti bel tempo, rinnovamento, salute e pace nei cuori!
Reclusa nel tramonto
io cerco di fuggire,
ma sono dentro casa,
legata, i polsi e il cuore ,
da questi veli rosa,
da questi drappi neri
con pari voglia in corpo
di vivere e morire.
Portami presto, caro,
fuori da questa stanza,
rompi pareti e indugi,
portami al bel pontile,
a quello strada in legno
che corre dentro il mare.
Per illustrare questa mia poesia, ho scelto una foto di Paolo Scarpellini, che ringrazio per la collaborazione.
Verità da camera da letto,
il monte ginocchio appeso
allo specchio,
il soffritto del pranzo che stagna
nel riflesso.
Un barbecue di illusioni rosolato
da un vecchio.
Un amore d’ottobre, pisolando
parecchio,
si scalda al meriggio di sole e solecchio.
Le mani ora solo intrecciate
in amplesso
di efelidi, artrosi. E il suono all’orecchio
di antiche promesse, mantenute
all’eccesso.
Solo un blando riflesso
di chiesa sfumata
in una vetrata a specchio.
Dilavamento di sabbia e di vento
con quel tanto di pioggia,
ma solo d’inverno.
Nessun rimpianto.
Eppure, al bar qui di fronte,
con un caffè in mano,
per sorbire le ore,
che son sempre più lente
quanto più l’età avanza,
c’è una donna seduta
con l’anima in mano
che guarda e riguarda
la cupola azzurra
nella lieve prigione
di chiaro cristallo
e giochi astratti dei raggi
del sole a settembre
e si domanda
se adesso sta meglio,
che più non si stona
con inni e preghiere,
pentimenti, peccati,
perdoni e campane
per sognare l’eterno, il dopo
beato. O se era più bello
temere l’inferno
che attendere, invece.
l’istante più odiato,
quell’attimo prima
dell’essere stato.
Già assaporo nell’aria
con il mio naso saccente
qualche sentore d’autunno
e poco capisco l’insistenza del tiglio,
la persistenza mentale dell’odore,
come se il mio cuore battesse
il tempo di giugno e il suo sole.
Lo chiamano rimpianto, ma io no,
quest’anno è stato tutto così uguale
e, per certi versi, brutale. Addio lembi
di estate sdraiata sul mare,
lacerata a sangue dalle unghie
di un vorace dolore, il boia
delle mie ore! Quindi anche l’onda,
col suo trasparente chiarore,
mi rimanda l’olfattiva memoria
algale del nascere e del partorire,
pur nell’ostinata asciuttura
di queste mie misere ore. E respiro,
avidamente respiro anche la neve,
dell’immortale ghiacciaio
che il vento iemale risveglia
in bianche fumate di gelo.
Bellissimo peraltro l’umidore,
senza quasi rumore né odore,
del prossimo inverno a venire.
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