Posa le tue mani
sui miei fianchi,
accarezzami il fegato,
baciami il cuore,
porta il mio sangue
fino all’anemia dell’anima
vampira di passione,
dammi la vita, amore!
Posa le tue mani
sui miei fianchi,
accarezzami il fegato,
baciami il cuore,
porta il mio sangue
fino all’anemia dell’anima
vampira di passione,
dammi la vita, amore!
E mi restano i nodi,
da sciogliere,
non so se ce la farò,
entro questa vita.
Pettino le chiome
del mio fato
con le dita stanche
ed incontro,
come sempre
ogni mattina,
un tessuto di rasta,
impossibilmente
doloroso
da sbrogliare.
E guardo il sole,
e molte belle cose,
oltre ai ricordi,
al di là del dolore
e mi domando,
fluttuando sospesa
all’arcobaleno interiore,
se davvero vale la pena
di capire
e il cardo dei lanaioli
tarda ancora
a fiorire…
Ci fu un’estate fredda
e freddo il mare,
fresche le notti,
tirava vento sempre,
a volte di tempesta.
E fu un’estate bella
della mia giovinezza,
quando, nuotando insieme
a sfida delle onde,
noi ridevamo forte
e gridavamo al cielo
per non dover tremare.
La mia malinconia
vive d’autunno.
Porta il cappello,
una piccola cloche
degli anni trenta
con un fiore nero
ed é così carina
coi suoi chiari occhi
saggi seri e fondi
e poi sospira spesso
e alza gli occhi al cielo
e, come tutti, spera.
Vorrei che fosse fermo
questo orologio vecchio,
indietro, da buttare,
fermo ad un momento,
deformi le lancette
a catturare il tempo
e il primo bacio eterno,
ma lui continua a andare,
e intrappola i capelli
ai suoi dannati denti
per farmi camminare
e suona le mie ore…
Fugge il pensiero, almeno,
si tuffa dentro il mare
dove tramonta il sole,
lo vuole ripescare
e guadagnare un giorno,
dall’ovest del tramonto
all’est di un sogno spento
e farlo ritornare.
Mamma mia santa,
quanto veloce il tempo
corre e balzando incalza!
Ma va anche molto lento.
Non è successo oggi
quello che vorrei tanto,
quello che aspetto ancora
e quindi è troppo presto,
ma, se non succedesse
durante il mio destino,
sarebbe tardi, adesso…
Sapessi che rumore sgradevole
questo risanamento edilizio!
Il martello, in primis, che distrugge,
e il raspare, il grattare, zampettando
come ratti di fogna lungo le condutture
del cuore. Pare che sia necessario,
non certo per me. Stavo bene così.
Io sono in ordine, chiara, in amore,
(come le acque bianche
che la gronda raccoglie
e non sporcano il mare
da qui non lontano)
non sono un sepolcro imbiancato.
Ma se tu devi farlo, allora scava,
e non rompere almeno i ricordi,
quel che resta ancora di noi
che non è da buttare e ti è caro.
Usa il piccone, amore perduto,
ma usalo piano.
Trentotto decibel
di confortevole noia
È una casa gradevole
e molto silenziosa,
la strada celata
dalla stolta magnolia
e la vita che arriva
tutta molto filtrata
dal passato al presente
nelle stanze dei giorni
e la carta moschicida
di un monotono tempo
spenzolata in penombra
a invischiare da sempre
le zampette dei sogni.
E fuori c’era vento
e fuori c’era il mare
pietrificava vita
la gelida panchina…
Alzarsi una scoperta,
col rischio di finire,
la sabbia fustigando
e levigando a morte
la tiepida scultura
di un’indifesa sorte.
I giorni spesi tutti
correndo sulla riva,
respiro nel respiro
dell’aria furibonda,
del sapido suo sale.
Non una brutta morte
sparire per usura,
le piccole vestigia
tornate al grembo amaro
di onda contro onda,
nascendo vita ancora.
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