Rottami di rame dispersi nel cielo
arpeggiano suoni aciduli,
vibrazioni di stelle
friniscono.
Pendono sogni impiccati
da forche fittili,
una luna di Vincent
si sgretola
in cerchi concentrici,
Il cuore velato di traumi
si placa nel nero.
Rottami di rame dispersi nel cielo
arpeggiano suoni aciduli,
vibrazioni di stelle
friniscono.
Pendono sogni impiccati
da forche fittili,
una luna di Vincent
si sgretola
in cerchi concentrici,
Il cuore velato di traumi
si placa nel nero.
Trafigge il sole
l’immutata bellezza
del lago che tu sai.
Aghi di sole il giorno
e di notte la luna.
E polveri di stelle
cadranno sulle onde
a scalfire di noi
piccole memorie
dell’essere stati là.
Alla periferia della notte
una sera stanca e delusa
si trascina fra cenci di luce
seminando coi colpi di tosse
la fatica, gli errori, i rimpianti.
Si rannicchia in un angolo buio
anelando soltanto dormire.
Sarà questo, dunque, l’autunno?
Un’eroica agonia senza sogni?
Senza stelle, né luna, né amore?
Come sono tristi
le lune di dicembre,
con le maree
gelate dentro il mare
e tu che non ricordi
quando l’estate scorsa,
or fa trecento anni,
già mi chiamavi amore!
Quando la spiaggia accolse
la frenesia dei corpi
nel dirsi tutto quello
che non fu detto mai
e ora il letto è sfatto
e tu che non ritorni,
le corna di Selene
che piangono per noi
e tutti gli astri intorno
in brividi di ghiaccio
e il canto delle stelle,
da gole di glasspiel,
che sparge suoni d’oro,
ma freddi come lame
di spade dentro il cuore…
Così, nell’acqua di un fosso
si dissolve un papavero rosso,
un amore nato per gioco
che nel sogno ritorna per poco
e risplende di stelle e d’aurora
quando il cielo già trascolora.
Fra le ciglia frementi una donna
cela ancora il ricordo e sospira
al risveglio, per sempre, da allora,
rotolando sul volto senile,
come perle, lacrime pure.
Oggi lo sento nell’aria
questo novembre di ossa,
fradicio triste colloso,
striscia sui tetti di pioggia.
Cadaveri vani di canto
sfogano i mesti gabbiani
rincorsi dal rude maestrale,
traditori immondi del mare.
Quanto lontana è l’estate!
Quasi non provo rimpianto.
Sai, mi succede ogni giorno
di non volere più niente
indietro dall’avido tempo.
Intanto sbiadiscono in cielo
le ultime stelle al mattino,
io sono svegli dall’alba
e con i miei morti in ritardo
mi giro la casa in silenzio
spazzando i fasti di ieri
con questa coperta di lana
che mi riscalda le spalle,
strappata ad un letto di sogni
che ormai chissà dove vanno.
Mi pare di vederti, lì affacciata,
alla finestra aperta sulla vita.
Vive la tua pelle di carezze
e il vento questa sera passerà,
alitando un soffio caldo
sulla tua bianca pelle,
il passato nel futuro muterà.
“Ancora amore, Mida, ancora
ti doneranno presto queste stelle!”
cantano i grilli dai trifogli in fiore
di buona sorte profeti e dispensieri.
Nella cornice bianca sulla notte nera
chi passa non ti vede, ma ti sente,
come un enorme battito di cuore
e forse chi ha fortuna percepisce
dei tuoi capelli biondi il timido bagliore.
Ma ti ricordi, cara Mida, questa sera,
com’era bello il nostro antico mare,
dove la notte su pattini d’argento
incideva fantastici sentieri
e scintillava di stelle l’orizzonte
e lontane danzavan le lampare?
Canta per me quella canzone vecchia,
che parla della luna e di perduti amori,
e fai la voce scura e passionale,
così ch’io ascolti e finalmente pianga
su quello che non può più ritornare.
Il cammino sospeso
di un terrazzo
al quarto piano.
Dalla parte del mercato
un De Chirico in città,
dalla parte del.cielo
i pianeti, le stelle,
la mutevole luna
se sereno sarà.
Io, polena stupita
che mi sporgo dall’angolo
in favore di vento
sul futuro che verrà.
Lunga lettera agli amici
di sempre, che poi sarebbe mai,
se guardo proprio bene,
senza parole, senza conforto,
senza andata, senza ritorno
pareti di silenzio per i miei
graffiti, più che muti, zittiti
e quest’orrenda cecità
per i miei sguardi disperati…
Come una capra affamata
cerco il sale, il sodio, della vita
e lecco lungo i muri della strada
disgustose indifferenti amenità,
insipidi marshmallows molli
di buonismi esasperati,
che trasudano pensieri positivi
d’inquietante e rosata falsità.
Miei signori, vi immaginate Dio,
affacciato al suo balcone
di beata eternità, che ci guarda
fra le stelle ed i pianeti
e decide per ognuno che farà?
Io non sono un fan di Vasco Rossi,
ma una cosa mi piace, che cantò:
“Siamo soli…” Vi saluto, scriverò.
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