
Mi ricordo la Befana.
Abitava a Torino
Amava i cieli grigi
e il greve respirare
dei camini.
Si vestiva nella notte,
per questo non appaiava
i suoi calzini
e non li rammendava.
Non si pettinava.
Quell’anno a Natale
era andata molto male
ed avevo saputo
che Gesù Bambino
non sarebbe più tornato
per via del tutù azzurro
che volevo per ballare.
Lui mi portò la stoffa
e alla mia cara mamma
solo il tempo per cucire.
E venne l’Epifania
che tutte le feste
la porta via
(me lo disse mio padre.)
Così dal cortile,
nel freddo da paura
del mattino
e l’ossessione
di quei muri gialli
delle case popolari,
guardai il cielo di latta
con le nuvole appese
e le strisce di ghiaccio
pattinate dal gelo
e la sorpresi a volare,
sulla scopa sbilenca,
districando una strada
fra i rami nudi dei viali .
Fu un’epifania,
come spiegava la nonna,
che se ne intendeva
di chiesa e di parole,
e lo capii anch’io.
E mentre salutavo
e la indicavo a mia sorella
sparì dietro a una casa.
II sole dell’inverno,
intanto, lacrimava…
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