Auguro a tutti un buon settembre e dedico a questo bel mese di passaggio fra l’estate e l’autunno tre piccole composizioni, con cui ho partecipato al delizioso Gioco del lunedì di elettasenso
5/7/5 settembrino (tautogramma in S)
Sambuco scuro
stormisce sagomando
Stagione sfinita (acrostico)
Scacciando
Estate
Tumidi
Temporali
Esplodono
Mestamente
Brune
Rondini
Emigrano
Settembre come sempre (acrostico)
Sambuco
Ebbio
Tesori
Tradimenti
Estasi
Memorie
Bramosie
Rimpianti
Eternamente
Allora bisogna accorgersi di te,
per quel tuo voler essere pungente.
E come sospira la tua bocca densa
di nebbia, o forse fiato di condensa,
masticando le grida di sirene
che mugghiano dal mare alle polene!
Ci dorme dentro tutto quell’amore
che ci accaldava le membra,
l’altra estate, fino alle soglie dell’autunno.
E ora ritroviamo sul cuscino
più cha altro una gran consolazione
per essere vicini e caldi e insieme,
io e il mio amato unico bene
e, questo lo speriamo, lontani dalla morte.
Ti apro le finestre per esserti accogliente
e mi ti diluisci dentro, ma fai bene,
al fondo dei polmoni inariditi,
gustando io il tuo ghiaccio scricchiolante,
il tiepido sorriso del mio amante
e mite, la speranza del futuro,
cantata dalla bocca del camino.
Ecco qua,
ricomincia l’estate
e pare già malata.
Asmatica, affannata,
con le scarpette da ballo,
sformate,
quelle dell’anno scorso,
infangate, tenta una danza.
Lo so, è una mia fantasia,
ma il tempo qui
è sempre più opaco
l’aria si appiccica contro,
pregna di goffi licheni,
o alghe spiaggiate
indecenti.
Umidità 80%.
Ma le rondini volano in gloria,
perché il cibo non manca.
Benvenuta, Estate stanca!
Verginità corrotta, marginale,
indegna vestale,
mentre il sole
un poco al giorno muore,
agonia che inizia col solstizio,
dissipi calore. E ci fai sudare.
Come sono tristi
le lune di dicembre,
con le maree
gelate dentro il mare
e tu che non ricordi
quando l’estate scorsa,
or fa trecento anni,
già mi chiamavi amore!
Quando la spiaggia accolse
la frenesia dei corpi
nel dirsi tutto quello
che non fu detto mai
e ora il letto è sfatto
e tu che non ritorni,
le corna di Selene
che piangono per noi
e tutti gli astri intorno
in brividi di ghiaccio
e il canto delle stelle,
da gole di glasspiel,
che sparge suoni d’oro,
ma freddi come lame
di spade dentro il cuore…
Ma i fenicotteri
erano già migrati via
dalla laguna,
come i miei dolci sogni
di bambina.
Fu un’estate febbrilmente
astrusa,
imbibita com’era di speranze
a sera,
niente più morbo e tramonti
rosa,
stemperati nel mare come fa
il pittore,
quando il colore muore
con il sole.
Già assaporo nell’aria
con il mio naso saccente
qualche sentore d’autunno
e poco capisco l’insistenza del tiglio,
la persistenza mentale dell’odore,
come se il mio cuore battesse
il tempo di giugno e il suo sole.
Lo chiamano rimpianto, ma io no,
quest’anno è stato tutto così uguale
e, per certi versi, brutale. Addio lembi
di estate sdraiata sul mare,
lacerata a sangue dalle unghie
di un vorace dolore, il boia
delle mie ore! Quindi anche l’onda,
col suo trasparente chiarore,
mi rimanda l’olfattiva memoria
algale del nascere e del partorire,
pur nell’ostinata asciuttura
di queste mie misere ore. E respiro,
avidamente respiro anche la neve,
dell’immortale ghiacciaio
che il vento iemale risveglia
in bianche fumate di gelo.
Bellissimo peraltro l’umidore,
senza quasi rumore né odore,
del prossimo inverno a venire.
Addio borgo
d’un’estate strana
strappata a un corpo
poco accomodante,
addio vacanza
delirante, addio scala
di una fatica esibita
alla curiosità impietosa
della gente, addio mare
che lavavi l’amaro
con il sale, addio sole,
addio cigolio tremolante
del sartiame del mio cuore
così felice, in fondo,
di salpare.
Nota: Ho illustrato questa mia poesia con uno sketch di Riccardo Scarpellini
Un’elemosina d’estate
per una mendicante del tempo
fra questi rovi incendiati
dall’infuriare del vento,
la salamoia del pianto
e i voli neri radenti
di cormorani affamati.
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