Ostinatamente
tengo accese le luci
per le ultime ore di festa
nel terrazzo affacciato
sulla notte indifferente
non per me, per chi è solo:
Che passando di qua
senta il cuore più lieve…
In fondo al cielo
il rosa del tramonto
e averti in me
come nube leggera
posata sul cuore.
Senza spazio
senza tempo
senza limitazioni
all’assurdità
dell’evento
intrappolata
in queste scale
di Escher
come un criceto
impazzito
salgo scendo…
Stormi di nubecotteri
si staccano dall’orizzonte
così pesanti
da cadere dal cielo
e bruciare al tramonto.
Stanotte sono stata
a un funerale
in una grande chiesa
dove non volevo andare
con musiche tremende
da strappare il cuore.
E poi ho visto un vecchio
che quasi non stava in piedi
per gli anni ed il dolore
e stringendogli la mano
ho sentito quanto grande
fosse stato quell’amore.
Fra tre giorni sarà un mese
che abitano con me
due Phalaenopsis.
Portano entrambe
sugli steli scuri
un’agile cascata
di farfalle bianche
incapaci di volare
se non nell’atto
finale del cadere.
Dico loro ad ogni sguardo
che mi fanno contenta
senza gridare profumi,
nel totale silenzio,
imitando di Buddha,
cui porgono omaggio
dal ripiano inferiore
della credenza di legno,
la tensione al Nirvana
che già egli contempla.
Affacciata al terrazzo
scruto il grigio omogeneo
senza sbavature di giallo
di un cielo stupefatto
dall’immobilità del vento,
già oppressa dalla notte
che fu avida di me
(mi mangiava, il materasso,
fino a fagocitarmi l’anima.)
Nell’assenza dei segni
(nemmeno un gabbiano
s’invola dai madidi tetti)
galleggio in totale naufragio
sull’ineluttabilità bastarda
del muto mio destino.
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