Danza la pupazza
Il suo valzer sbilenco.
Guarda di non ferirla
con lo sguardo irridente
di chi ha avuto tutto
e in cambio non dà niente.
Ti prego non fermarla,
con gli occhi chiusi sogna,
ti prego non svegliarla…
Sono stata brava
tutto queso tempo
come una bambina
e molto ubbidiente.
Come ogni sera
si sdraia la notte
su un letto di stelle,
nera la veste,
bianca la pelle…
Anche io giaccio
e cerco di dormire
eppure non smetto
di fare quello
che mi hai detto:
“Continua a sperare!”
Come una fiamma
per te resta sveglio,
angelo mio sofferente,
il mio stanchissimo cuore,
ma è un cuore potente.
Non fare quella voce.
I tuoi torrenti d’ira
mi lavano via il cuore
pietrificato grigio
testardo abbarbicato
al limo dei ricordi
che il tempo fa muschiato.
E non mi trascinare
in gorghi di parole
beffardi mulinelli
di inutile rancore.
Non sono questi i giorni
del tiepido disgelo…
di bruma s’è vestita
va sposa al cielo
Nella foto: il profilo di luna che si è offerto ieri sera ai miei occhi stupiti e all’ obiettivo del telefonino.
E adesso cosa fai,
polvere di farfalla
i sogni le speranze
e nessuno che ci crede?
Lo vedi come sei ridotta,
le ali tutte a buchi
i pigmenti spenti,
i voli raso terra
derisi tormentati?
Urlerò demenziale
se non posso andar via,
dibattendomi piano
nel grigiore autunnale,
poi un tumulo grigio
che continua a sognare…
Io non sono naturale,
perché mi diverto a creare.
Vanità del trucco sul mio viso,
maschera d’impertinenza
per non svelare nuda
la mia anima di bambino
totalmente indifesa.
Come la primula del bar
che è sempre primavera
che è sempre mattino.
Un giorno o l’altro
dipingerò il cielo
e dovrà essere
un giorno speciale
dove il cielo piove
come sto a immaginare.
Appoggio il pennello
e piange colore
lacrime grosse
blu d’oltremare
così lente a colare
per poter cancellare
il rumore del male.
Realtà virtuale
di un tramonto digitale.
Il mio territorio
per sognare
un tavolino al bar
vicino alla vetrina
da sola a respirare,
un non luogo paritario
per parlare.
È qui che non esiste
il tempo a separare,
è qui che ancora
io ti posso pensare
in un eterno ieri
insieme a ricordare…
È l’ora della pastasciutta,
non m’importa di nient’altro,
o così sembra,
perché quando mangio
io non penso.
Ma prima e dopo e sempre
io questo senso della vita
proprio non lo digerisco.
Tutto questo affanno,
lacrime e cipolle, il pasto,
risa e risotto e pianto
nello stesso piatto bianco.
Tragica fisicità banale
di un anima mortale,
spaghetti e funerale.
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