Perch’i’ no spero di sfuggir giammai
ballatetta, a Toscana,
soddisfa la mia brama:
canta nei versi almeno
di quel bel luogo ameno
che mi nutriv’il core.
Tu canterai singulti di ruscelli
vividi guizzi e gracidii di rane,
e trilli mattinali degl’uccelli
passi leggeri, tocchi di campane
e scampanii di mandrie più lontane.
Ché tu non giunga odiosa
giova codesta chiosa:
giammai mi fu sgradito,
sul tosco mar, il sito
dell’esuli mie ore.
Io spero, ballatetta, che la sorte
non computi la vita che mi tocca
dagli anni già vissuti, né alla morte
mi consegni anzitempo, né alla bocca
cavi ‘l respir e al cor la speme sciocca
di tornare sui prati
un tempo calpestati
nei giochi di fanciulla
che danza e si trastulla
ignara del dolore.
Deh, ballatetta mia, a la tua pietade
affido il sogno mio di ritornare,
viva, io spero, o di fuggir dall’Ade
e al mio paese con l’anima restare,
teco eterni versi ‘n laud’ intonare.
Quando tu, Iride alata,
infin colà arrivata,
la permission chiederai,
grato asil’ otterrai,
umil pegno d’onore.
Tu, voce de’ miei versi deboletta
sfuggita al mio nostalgico rimpianto
parla di me, mia fida ballatetta,
fa che si’ amata e possa menar vanto
colei che luce diè all’ameno canto,
un’umile pastora
che a sera la dimora
dopo travaglio e duolo,
cammino su erto suolo
accoglie con amore.
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