Accoglimi
Piacevole
Rilassante
Infiorato
Letto.
Estasi
Díonisiaca
Onirica
Lánguida
Concedimi.
Evoca
Divine
Ossessioni
Ricordi
Mistici
Improbabili
Resurrezioni
Eternizzanti.
Accoglimi
Piacevole
Rilassante
Infiorato
Letto.
Estasi
Díonisiaca
Onirica
Lánguida
Concedimi.
Evoca
Divine
Ossessioni
Ricordi
Mistici
Improbabili
Resurrezioni
Eternizzanti.
Un altro equinozio
rosseggia tra i viali,
Mabon se ne va,
e tu credi che torni.
Ma io no. Perciò piango
e ti stringo le mani,
ammaliata dal freddo
che seduce la mente,
il mio corpo, le cose
ed annebbia i ricordi.
“Avec le temps va, tout s’en va”
graffia a sangue il mio cuore
scricchiolando di foglie
un buon disco rigato.
Sembrano mani
queste alghe palustri,
giochi di bambino
in un bianco lavandino,
baluginando a sera
ricordi e proiezioni
di ombre del passato
a assorbimento lento,
un filtro di memoria
in questo gran silenzio.
Disdicevole sera
così grave di pioggia
da sembrare una fiera
dilaniata dal parto
su un giaciglio di nembi
ogni ora più neri.
Disdicevole sera
dei miei foschi pensieri
dopo un giorno di diagnosi
e sofismi accademici
di dottori golosi,
come mosche sul miele,
di prelievi venosi.
Disdicevole sera
dei ricordi più dolci
quando il sangue era sangue,
capriole nel cuore,
e l’amore era vita,
ah, l’amore, l’amore…
Non tutti i ricordi
sono a colori.
Io mi domando perché
quella spiaggia di sole
nella mia mente sia grigia.
Forse perché era settembre,
faceva troppo freddo
per essere, noi due,
in Sardegna.
Avevo su il bikini ridotto
giallo a pallini blu
piuttosto grandi
ed un maglione color crema
norvegese molto spesso.
Anche la sabbia lo era.
Fredda. Non grigia, quasi nera,
come mi può apparire adesso.
Ma d’oro e io non la vedevo.
Avevo i piedi nudi e freddi.
E sorridevo. A te? Perché?
Per ingannarti e fingere
di essere felice?
E invece mi montava la paura.
Che il grigio ci invadesse,
addio begli anni sciocchi!
Così -fu la mia unica volta-
mi sbronzai di mattina
con un secchissimo Martini,
digiuna. E l’olivina.
Dopo, fu tutto uno zigzagare
affondando nel litorale.
E giunse l’ora amara di partire.
Escherianamente estenuata
dalle false prospettive
delle scale e delle loro ombre
che divorano la meta. Non s’arriva,
non si torna, non si sale,
non si scende. Fatica per niente.
E non sarebbe niente
se, dopo aver lasciato
nella casa poco amata
tutti gli orologi che avevo,
anche la vecchia pendola,
almeno si fosse fermato il tempo,
che batte ancora col suo morto cuore,
spaventosamente.
Seppelliti i cadaveri dei ricordi,
uccisi i mobili del primo novecento
e i loro tarli, senza mai più bandire
lo sfrontato sole, salendo al piano
quarto della casa nuova
con un bell’ascensore,
mi porto il buio e quelle rampe
dentro. Non salgo, non scendo
e in questo doloroso passatempo
spreco infinitamente il tempo.
Restano così alla deriva
piccoli ricordi della festa
e una stanchezza un po’ lasciva
a mezza strada fra lussuria
e mal di testa.
C’è un mezzo uovo
con il ventre devastato
e la sorpresa che è un non senso
che non avresti mai comprato,
c’è una colomba che non vola più,
che non parla né di pace né Gesù
e c’è quest’ora incontinente della sera
che piange ubriachezza
e una tristezza vera.
Di nuovo mi ha assalito
il tarlo del pulito.
Apro gli armadi
e getto via l’usato.
Abiti striminziti,
di molto inadatti
ai protesici andazzi.
Sono ricordi,
svolazzi carini,
ma piccolini.
E allora buttiamo,
anzi, se trovo il modo,
doniamo.
(Il Corona ha proibito
di spartire il vestito.)
E se guarissi?
Brinderemo
e nuovi stracci
compreremo!
Giallo e beige,
verde e azzurro,
indistinguibili
a quest’ora.
Anche mia nonna
scambiava i fili
e di mattina
se ne accorgeva.
Che fiori strani
abbiamo creato
nei nostri ricami!
E quando col mio bimbo
giovavamo a Rami,
io perdevo,
tradita dal rosa
e lui se la rideva…
Semplici ricordi
e una strana voglia
di riassaporarli.
Incalzare del tempo,
dolcezza di allora…
dalla viltà del natale
che, dalla vanità della neve
dei suoi accampamenti invernali,
mi raggiunse a Livorno
colpendomi alle spalle
con una pugnalata
sottoscapolare,
pneumotorace esistenziale,
mi rifugiai al triage
di quel piccolo bar
di via Grande
per respirare.
La cameriera,
vestita normale,
mi domanda operosa
che cosa mi può portare
“Una cioccolata calda!”
singhiozzai moribonda.
(E chi se ne importa
se fa ancora caldo
sotto l’alito affranto
di un libeccio epocale?)
“Ma che sia dolce non troppo
e molto, molto amara
per buttar giù in pochi sorsi
i miei vecchi vecchi ricordi…”
…Io già sorpresa in agguato,
oramai quasi morta,
mi buttai ieri sera
dentro il letto a riposare.
Verso l’alba,
incalzando ancora
un gran vento e il tenebrore,
riprese a battere piano,
sotto il palmo
della mia stessa mano,
il mio cuore solstiziale.
Per ricominciare…
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