Come una soglioletta
sul fondo dell’abisso
su di te mi appiattisco,
compagno serale.
Vivo un amore
molecolare,
corpo su corpo,
pelle su pelle,
cuore su cuore
in un solo respiro,
quello del mare.
Come una soglioletta
sul fondo dell’abisso
su di te mi appiattisco,
compagno serale.
Vivo un amore
molecolare,
corpo su corpo,
pelle su pelle,
cuore su cuore
in un solo respiro,
quello del mare.
Già assaporo nell’aria
con il mio naso saccente
qualche sentore d’autunno
e poco capisco l’insistenza del tiglio,
la persistenza mentale dell’odore,
come se il mio cuore battesse
il tempo di giugno e il suo sole.
Lo chiamano rimpianto, ma io no,
quest’anno è stato tutto così uguale
e, per certi versi, brutale. Addio lembi
di estate sdraiata sul mare,
lacerata a sangue dalle unghie
di un vorace dolore, il boia
delle mie ore! Quindi anche l’onda,
col suo trasparente chiarore,
mi rimanda l’olfattiva memoria
algale del nascere e del partorire,
pur nell’ostinata asciuttura
di queste mie misere ore. E respiro,
avidamente respiro anche la neve,
dell’immortale ghiacciaio
che il vento iemale risveglia
in bianche fumate di gelo.
Bellissimo peraltro l’umidore,
senza quasi rumore né odore,
del prossimo inverno a venire.
Coronata da sè
di luce e bellezza
ecco incedere aurora
sui regali piedini,
così lieve nel passo
che diresti che vola.
Intossicata da polveri
di sogno, verde nel viso
come una porcellana
Céladon, io dalla finestra
avidamente la respiro
e ingoio il nuovo giorno.
Condizioni non brillanti
e eventi contingenti
sono la stoppa intorno
a un tubo un po’ rotto,
il mio vizio di raccontare
anche quando non posso.
Così parlo di meno, ancor meno
io canto, mantengo soltanto
quel niente di flusso
che è un po’ il mio respiro,
mi vive ed io vivo…
Tutto qui. Questo è quanto.
Vorrei diventare
una viola da gamba
per raccontare
la vita com’è.
Quando era il tempo
dei giovani amori
tutti i miei strazi
affidai al violino.
Quanto stridenti
le grida e i lamenti!
Come lame di luna
fendevano il cuore.
Poi ci fu un giorno
in cui il violoncello
mi violentò il corpo
con passione carnale.
Tutto di me
fu fremito e gioia,
tutto di me
fu gemito e dono
sempre accordato
al pulsare del sangue
e del mio cuore
col cuore compagno.
Però, con il tempo,
la voce è mutata,
e tutto il mio essere
ha cavità fonde
dove rimbomba
scura e sicura,
querula a volte,
la voce di viola,
a ribadire
in canoni grandi
le prove e i dolori
e quanto sia immensa
in ogni respiro
la voglia di vivere
e vivere ancora…
Per quanto averti
sia impossibile,
piccola chimera
dei miei sogni,
io vorrò darti
motivo di amarmi.
Io ti darò l’Oriente
di albe perfette
e tutti quei cieli
che porto nel cuore.
Tutti i miei giorni
il mio primo pensiero
sarà il tuo viso,
sei tu il mio sole.
Io coglierò i fiori
che sotto ai tuoi piedi
genera terra
al sentirti passare.
Ti darò il gelo
del mio ultimo inverno,
ti darò il fuoco
che accendi nel cuore.
Ti darò il tempo
di ogni respiro,
da quando ti vidi
all’ ultimo giorno,
ti darò il sempre
che ti fa eterna,
perché eterno
è l’amore che provo.
Tossica intossica
l’asma da ozono.
Contro nubi di piombo
cozza il colmo dell’ala
di un gabbiano, solo.
Non c’è niente che possa
contro il peso del cielo,
né il respiro, né il volo.
Il silenzio mi ovatta
sempre verso le cinque
mi sigilla le nari
e mi riempie la bocca
per levarmi il respiro,
sintonia fra il sentire
ed il cielo a quest’ora.
uniforme grigiore,
punteggiato di uova
come un nido di ragno,
di corpuscoli neri,
minimali rumori:
voci in strada, gabbiani,
l’asma stanca del bus.
E le cose qui intorno
in suicidio corale
delle forme nel caos
della luce che scema
in notturna unità,
poi più niente, la mente
è la sola che resta,
solamente la mente…
Alle sei le campane.
Il giorno si allarga
per pennelli di cielo
di un grande pittore.
Il mattino fu fresco,
come il dolce respiro
dei tuoi tre bambini,
e capelli di sole
color chiaro lino,
poi sempre più caldo,
come un tempo l’amore,
ma non faticoso,
per carezze di vento
e la pelle che ride.
È un bel pomeriggio,
tu stendi il bucato
e a un tratto capisci
che questa tua estate
non vuole morire.
Adesso la solitudine
ha una voce di macchina,
tubi dell’acqua,
turbìne in cantina,
chissà. Respiri del nulla
e io qui da sola
con la mia voglia di dire,
riempire, riempire
il vuoto di un tempo
che più si prolunga,
più perde senso.
Intanto che ascolto,
mi sento, respiro,
amo tossire, così,
tanto per fare…
Sottovoce racconto
alla ventola chioccia,
noiosa ma fresca,
il nonsenso dell’essere
senza il capire.
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