Trafigge il sole
l’immutata bellezza
del lago che tu sai.
Aghi di sole il giorno
e di notte la luna.
E polveri di stelle
cadranno sulle onde
a scalfire di noi
piccole memorie
dell’essere stati là.
Trafigge il sole
l’immutata bellezza
del lago che tu sai.
Aghi di sole il giorno
e di notte la luna.
E polveri di stelle
cadranno sulle onde
a scalfire di noi
piccole memorie
dell’essere stati là.
Il sole sembrava una cisti
che ispessiva un cielo coperto.
Infatti, è esploso sul tardi,
debordando a causa del vento
e ha sporcato qua e là sopra i tetti
precedendo di poco il tramonto.
Ascoltavo la morte tossire,
incapace di dirmi fra quanto
e tornavo fra i miseri cenci
di una vita pezzente e paziente
a guardare dai vetri sporchetti
quella sfera armillare in gramaglie
dove ruota il dolore soltanto.
Per una maligna ispirazione
è stato concepito
un cielo piatto
cui trovare nuovi ridicoli astri
che non hanno splendore.
Questo è dunque il mio sole?
Come funziona adesso il tempo?
Chi deciderà della mia vita?
Questo buio aeratore?
Dio come sempre?
Il medico di turno?
O la più algida infermiera?
Messaggio per i lettori Prima di tutto, bentrovati a tutti voi, quanti avete potuto continuare la vostra vita senza spiacevoli scossoni, ma anche a voi, che, seguendo il mio pessimo esempio, avete condotto scorci di esistenza disastrati e scoscesi quanto basta per farsi abbastanza male. In sintesi, sono tornata da un viaggio all’ospedale con soggiorno di 12 giorni, per nulla recuperata nella salute, per cui ho ricreato, mio malgrado, un noioso cordone ombelicale, non con la mia defunta madre, ma con la tettina d’acciaio della bombola dell’ossigeno. Eccomi quindi a celebrare con voi questo equinozio, che per me, strettamente confinata a letto, non conosce che un cielo e astri artificiali. Che dire ancora? Niente, se non aggiungere le mie scuse per le improvvise incolpevoli sparizioni, i miei auguri per il vero equinozio, il mio affettuoso abbraccio, sincero anelito di vita. Mandatemi un respiro…
Vostra Silvia
Non tutti i ricordi
sono a colori.
Io mi domando perché
quella spiaggia di sole
nella mia mente sia grigia.
Forse perché era settembre,
faceva troppo freddo
per essere, noi due,
in Sardegna.
Avevo su il bikini ridotto
giallo a pallini blu
piuttosto grandi
ed un maglione color crema
norvegese molto spesso.
Anche la sabbia lo era.
Fredda. Non grigia, quasi nera,
come mi può apparire adesso.
Ma d’oro e io non la vedevo.
Avevo i piedi nudi e freddi.
E sorridevo. A te? Perché?
Per ingannarti e fingere
di essere felice?
E invece mi montava la paura.
Che il grigio ci invadesse,
addio begli anni sciocchi!
Così -fu la mia unica volta-
mi sbronzai di mattina
con un secchissimo Martini,
digiuna. E l’olivina.
Dopo, fu tutto uno zigzagare
affondando nel litorale.
E giunse l’ora amara di partire.
Perché, mi domando,
quel vecchio era lieto?
Garrivano intanto
rottami nel vento,
di navi sfinite,
bizzarre polente,
ma molto tornite.
Era solo un poeta
che, come è costume,
un po’ delirava,
parlando di rondini
e fiati d’aprile.
Noi scettici, intanto,
tremavamo nel manto.
Il sole d’inverno
pareva cristallo,
cantava d’argento,
però trafiggendo
la mano grinzosa
e lentigginosa
del vate inquietante
che, benedicendo
ora questo ora quello,
invocava la pasqua
stillando il suo sangue
di povero agnello.
(Dedicata ai poeti, che al primo sole d’inverno, cantano la primavera e ci credono pure.)
Il futuro si annida
dietro a porte pesanti…
Chi l’avrebbe mai detto,
in quel mattino di sole
-Ti aspettavo alla soglia
quasi con il sorriso
e questi tre spilli
già fra il cuore e la gola-
che il cammino previsto
si sarebbe deviato?
Poi il cielo si è stinto
in un coro di vuoto,
alto un vento mi ha torto
fili d’anima in nodi…
Dopo un giorno e una notte
sì lo so, son tornata.
Ma la strada fu lunga
e io sono cambiata…
Che brutta giornata
per essere i santi!
Chiama il mio duomo
con queruli attacchi
di campane. Ma io
sono sorda nel cuore.
E sto bene così. Solo
ho un po’ rimpianto
del sole. E il tempo
mi corre accanto,
forse mi precede
e io non tengo il passo
con questa maledetto
affanno…
Io sono spugnosa.
Assorbo i disagi,
assorbo il dolore.
Io sono porosa,
ma non secernente,
nemmeno ho imparato
a filtrare i liquori
del pianto d’altrui
e vivo una vita
ubriaca d’affanni,
attese e tremori.
Seccami, o sole!
Asciuga quei pianti!
Strizzami forte,
bizzarro destino,
ch’io possa assorbire,
ma senza soffrire!
E poi, disseccata,
di nuovo guarire
i malanni dei cuori
e di nuovo gonfiare…
Il sole che muore
fra le crepe di un muro,
un po’ rosso, un po’ giallo
un po’ nero, ferito nel cuore
dagli artigli del gatto di casa.
Uno sguardo furtivo, un cancello
socchiuso e la panca di pietra
che pian piano si fredda,
il calore ceduto ai tuoi lombi
ragazza, che sognando l’amore
come un fiore ti schiudi…
Mi fa il nervoso
la domenica e la gente
che va al mare.
Delirio universale.
Le code per la strada,
per noi gente di costa,
sono una tassa fissa,
una condanna certa,
ma senza aver commesso
niente di irregolare.
Fossero felici, almeno,
ma stanno a litigare,
mentre elegantemente
si levano le scarpe
seduti al marciapiedi,
stremati dallo stress
che costa posteggiare.
La moglie col marito,
la figlia col fratello
e sono già sudati,
del tutto inadeguati
a una giornata al sole.
Poi scendon la ghiacciaia
e il vispo canottino,
il babbo, più dotato,
trasporta l’ombrellone
e la spiaggina bianca
per l’idroterapia
di nonna Rosalia.
La mamma, già in bikini,
sballonzola agitata
l’enorme deretano.
Di cozze l’impepata
e la sua parmigiana
ci penseranno loro
a renderlo più sano?
Avanti, miei prodi eroi,
guru del mordi e fuggi,
maestri di speranza,
visto che il mare è bello,
anche se a breve piove!
Ringrazio Paolo Scarpellini per la foto che illustra i miei versi. La striscia occupata dai bagnanti è pixelata per tutelarne la privacy.
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