Sono livida
di lividi circolari,
i succhiotti della morte
sul mio inerme cuore.
Sulle ferite inferte
dal dolore, solo lamie,
divoranti immonde
e nessuno a medicare
il mio inesorabile male.
Sono livida
di lividi circolari,
i succhiotti della morte
sul mio inerme cuore.
Sulle ferite inferte
dal dolore, solo lamie,
divoranti immonde
e nessuno a medicare
il mio inesorabile male.
Tu dirai: “Che novità!”
E non hai torto, ragazzo.
Stasera sono triste e lo confesso,
mi sia è aggrappata al cuore
questa luce artificiale rossa
che tenta di scaldarmi il malumore
con le inventate stelle dei faretti
che artigliano le tende polverose
coi riflessi adunchi ad attaccarsi
al cielo nero, fuori, in qualche modo.
Niente mi allevia dall’ondata
di lecita paura di morire sola
in questo mondo stolto e sciocco.
E l’ambulanza intanto passa
e grida: “State attenti, non aprite
alla morte, la notte di Ognissanti!
State a casa per Halloween, quest’anno,
bevete del buon vino con gli amanti
e poi di corsa a letto a far l’amore!”
Quando straparlavo
della bellezza del cielo
e sempre immaginavo
baie d’oro e lidi rosa
e bagni dell’aurora
in quell’etereo mare
che il regno degli dei
cinge e lambisce,
io ancora speravo.
La morte assai lontana,
allora, e grande l’illusione
che la bellezza riscattasse
la caducità dell’uomo.
Ora che ho più paura
venderei i miei albori
per un anno di vita solo.
Non asseconderò
il tuo asservimento alla morte.
Lo so che provi dolore,
che non è colpa tua,
che la paura ti plagia
e di distrugge la gioia
nell’ infinita attesa
di una fine che non pare
così pronta ad arrivare.
Povero tesoro
che ti mesci il veleno
da solo! Ascolta:
Una volta conobbi
un bambino malato
d’autismo, con il braccio
che pareva uno straccio…
Volevo salutarlo,
stabilire un contatto…
Ecco, tu che ancora puoi,
afferrala, questa mia mano
che allora tesi invano!
Questa mattina,
vidi la morte
nel corridoio,
nel corridoio
della mia casa.
Proprio là in fondo
c’era la morte,
c’era la morte
seduta sul trono.
Con le sue vesti
sovrabbondanti,
fatte di lembi
di vesti dei morti.
Più nera del nero
dell’alba d’inverno,
vidi la morte
e la vidi in trionfo.
Per andare in cucina
a farmi il caffè
avrei dovuto
passarle accanto.
Mi era parsa benigna,
e priva di fretta,
come chi viene
e poi se ne va,
ma era la morte,
la morte sul trono.
Non troppo impaurita,
mi mantenni prudente.
Tornai a letto
e adesso son qua,
piuttosto contenta
di raccontarlo.
C’era la morte
e poi se ne andò.
C’era la morte
nel corridoio,
c’era la morte
seduta sul trono.
Vidi brillare
nel portaombrelli
della sua falce
la grande lama.
Nel portaombrelli
a forma di scarpa
vidi brillare
la grande lama.
C’era la morte,
seduta sul trono
nel corridoio
della mia casa.
C’eran la morte,
La falce, la lama…
Recò un avviso
la morte cortese,
la morte senz’arma,
seduta in maestà.
Or se n’è andata,
ma un dì tornerà,
brandirà la sua falce
e mi ucciderà.
Come mi piacerebbe
tornare a stanotte,
quando l’intimità
con l’insonnia
lucidava I pensieri
che parevano belli
come chiari cristalli!
Collimava il ritorno
dei miei morti di casa
con il folle concetto
del risorgere adesso,
non avere paura
dei rumori sul tetto…
Solo vento che gira
fra le tegole smosse
o la morte sovrana
che i miei giorni divora?
di tempo così espanso
che ogni minuto dura
un quarto d’ora, un tempo
di scorrimento lento,
come un fiume alla foce,
morte al rallentatore.
Il silenzio ha una connotazione
da esecuzione capitale,
un nodo scorsoio alla gola
senza poter mai parlare.
C’è una calma in giro
senza colori e sentimenti,
un fine estate crepuscolare,
un tramonto senza gloria
né colore, senza voglia
o potere di gridare,
laringectomia sacrificale,
un grigiore interiore
che vetrifica lo sguardo
nella cataratta di chi aspetta
senza poter vedere il mostro
della sua paura.
Tutta quest’anima malata,
gonfia di rabbia
e verde invidia
abita il tempo
del qui e ora
del povero mondo
che noi siamo.
Non so come sia accaduto
né quando,
ma la contaminazione
è grande.
E naufraga ogni giorno,
arpionando la sabbia
con unghie disperate,
la redenzione,
vinta dai naufragi
e dall’indifferenza
alla morte dell’innocente.
Per me si fa labile il confine
fra la libertà, la morte e il mare
e mi fa male il vento, male i rombo
delle onde contro il cuore,
male questa voglia immensa
di fuggire il tempo verso il sole.
Ah, poter spezzare quella curva
linea viola che segna l’orizzonte
ed i confini umani del sapere!
Portami via di qua, mio amore,
non ho più voglia di pensare,
non mi calma il respiro contemplare
l’immensa assurdità del cielo
e sono così stanca di tossire…
Lo chiamerò walzer, se vuoi,
però è un ballo straziante,
si sente ad ogni battuta
il passo strascicato della morte
più svelto, sempre più svelto,
col passare del tempo.
Mi fa mancare il respiro.
Ah, se potessi fermarmi
per guardarmi un poco in giro
e ascoltare il mio silenzio,
ma non posso, finché vivo!
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