Potrà tornare a piedi nudi
un’altra primavera
in questo prato
aspro di brina?
E la mia casa così sola
aprirà come occhi
le finestre al nuovo sole?
La mia porta sarà schiusa
e con l’acqua del disgelo
canterà di vita il cuore?
Potrà tornare a piedi nudi
un’altra primavera
in questo prato
aspro di brina?
E la mia casa così sola
aprirà come occhi
le finestre al nuovo sole?
La mia porta sarà schiusa
e con l’acqua del disgelo
canterà di vita il cuore?
Ha steso l’inverno
una coltre di brina
sui prati di un tempo…
Un sole azzurrato
asciuga i ricordi
il tormento del vento
congela ogni pianto.
Eppure ritorno,
ostinata ritorno.
Ma ogni luogo è un esilio,
ogni meta un ostello,
non c’è posto per me,
non riposo, non casa.
Non chiederò all’autunno
di risparmiarmi le foglie
né di offuscarmi i sensi
alle nebbie del mattino.
Per quel fuoco inesausto
che mi consuma dentro,
a petto nudo
affronterò l’inverno.
Sole di latte,
stilla, ti chiedo,
dal seno del cielo
latte di sole
sui trepidi sogni
del cuore invernale.
Disparità dei prati
di muschio scabri
che arrampicano monti
di carta piegata.
Acqua di alluminio
inventa una cascata.
Un fiume di specchio
spegne la sete
di un gregge di gesso.
La capanna stellata,
non più che una speranza
già tradita…
E, sopra tutto, le mie mani
a costruire le cose del passato
e nella fonte di acqua vera
le parole che non ho
saputo dire…
Vestimi da sposa
con le carezze
fra le lenzuola
Drappeggiami addosso
quelle parole
che tu non hai detto
che io non ho detto
che entrambi sappiamo
Respirami veli di fiato
Vestimi ancora di rosso
Carissimi lettori,
Vi ringrazio per queste mie prime mille stelline, un vostro meraviglioso regalo di natale, che è testimone non tanto di un successo, quanto dell’avverarsi del mio sogno di condividere con voi tutti esperienze, sensazioni, pensieri, emozioni, tramite la poesia.
Vi ringrazio anche per i vostri numerosi e calorosi messaggi, che rinnovano in me la voglia e la forza di continuare a scrivere e vi auguro ore liete e serene per le prossime festività.
Parlo di me
ai grattacieli della notte,
muraglie di nuvole e stelle
cui, con arpioni uncinati,
s’appigliano le mie vergogne,
i miei sogni e l’urlo d’orrore
di questo mio non dormire
e salgono, brulicanti colonne
di formiche nere nel nero,
fino alla speranza di eterno
celata dal velo del cielo.
Qua in strada piove da molto.
Mi gusto l’inverno da fuori
a immaginare il Natale
stretto nel riquadro di luce
delle finestre incantate
per sospirare in silenzio…
Il calpestio sulla neve degli anni,
la ghirlanda volante dei sogni.
Non sono i sogni di adesso,
è tutta una vita che scorre,
i sorrisi miei di bambina,
mio padre, mia madre,
l’amore,
il ritorno degli angeli.
È l’andare dei cieli
nell’eterno infinito
che trascina la mente
molto oltre il terrazzo
da cui vedo il tramonto.
Le infinite catene
che la vita mi ha stretto,
ogni giorno dal primo,
intorno al cuore ed al corpo
a ogni ora più stanco,
mi trattengono ancora
e ripenso a quel tempo
che ingannava i miei sogni.
Ero giovane, allora…
Confondevo l’amore,
ogni specie d’amore,
con la libertà che mi ha tolto,
conservandomi le ali
per quell’ultimo volo.
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