Immagine speculare
della morte
questo progetto
di inutile attesa.
Qualunque cosa
io faccia
dovunque io vada
sono qui
e non mi muovo.
Immagine speculare
della morte
questo progetto
di inutile attesa.
Qualunque cosa
io faccia
dovunque io vada
sono qui
e non mi muovo.
Mi dà noia
che finisca il giorno
così inutilmente
da far piangere.
E non c’è più tempo
per trattenerlo.
Uscire, forse,
osservare il tramonto,
contrastare con lo sguardo
la voracità del mare
che finirà, come ogni sera,
per ingoiare il sole?
Come la liquida sera
triste d’azzurro
che già trascolora,
sciolta l’anima dal corpo,
incontro l’immenso
e l’incerto destino.
Quando contavamo le stelle
era per perderci nel cielo,
i cuori sdraiati ai bordi
dell’universo, per appartenerci
da lontano…
Io se ti penso
in quell’ultimo giorno
più non ti vedo, padre,
invece vedo me,
sola in cucina,
che piango e stiro
la tua veste da morto.
Non ho più
nessuna ispirazione.
Io prima ci mettevo tutto,
sangue, fantasia e la follia
che poi regolarmente
mi veniva rimproverata
e, come i bravi commedianti,
tanta improvvisazione.
Guitto d’eccezione, io, la vita
me la inventavo
sul ritmo del respiro
e cercavo di saziare
la fame d’amore.
Non mi chiedere adesso,
insano fruitore
del mondo che appare,
dove tutto è così saggio
e corretto, di provarci
di nuovo. Con regole tue.
Non ho più ispirazione.
Nel fiore degli anni
cercava la vita
la fonte dei giorni
le ragioni.
La morte,
annidata nel corpo
come un feto indiscreto,
intanto, aspettava
il suo tempo.
E venne quel giorno,
Il giorno dei giorni,
e non capì niente
nemmeno si accorse.
Truffato, da sempre.
Ebbe la nuova percezione di una luce bianca, dall’intensità vibrante.
“J’etais morte sans surprise et la terrible aurore / M’enveloppait…” riuscì a pensare. Baudelaire aveva previsto anche questo.
“Eh quoi! N’est ce donc que cela?” Però c’era, in più, il dolore tremendo.
E poi? Sarebbe stata la volta del sipario? No, non ancora, anzi mai. L’uomo non avrebbe visto che cosa c’era, dietro alle quinte. Questo succede solo nei racconti deliranti dei sopravvissuti.
L’uomo morì, come tutti, appena un attimo prima che si alzasse il sipario o prima che si spegnesse il misterioso interruttore del nulla.
Non sentì “clic!” come si era sempre immaginato, non ebbe la percezione del buio dopo la luce bianca, né vide apparire la Verità che gli si offriva sdraiata, per saziare le sue brame di conoscenza e di immortalità, bella con suo sorriso leonardesco, la nudità svelata dal lento dischiudersi delle spesse cortine di velluto rosso…
Manca un’ora e quaranta.
Voglio la mia libertà.
Ma ti rendi conto, madre pazza,
che la felicità
che mi hai donato
quando ti sono nato,
me l’hai levata tu,
giorno per giorno,
con le bugie insensate?
Oggi c’è la primavera
qui intorno e il mare
rigurgita azzurro e sale
nelle onde del canale.
Tutto un giocare,
ancora per poco,
poi il sole andrà a tramontare.
Ti ricordi la prima elementare?
Io, in un anno, ho imparato,
come mi avevi chiesto,
a leggere e a far di conto.
Poi non ti è più bastato.
E ora sto chiuso dentro,
quando basta,
otto ore al giorno,
più l’intervallo del mangiare.
Ora che ho perso il sorriso
e molti dei miei bei capelli,
riesci ancora a gloriarti
di avere un figlio impiegato?
Commenti recenti