Rottami di rame dispersi nel cielo
arpeggiano suoni aciduli,
vibrazioni di stelle
friniscono.
Pendono sogni impiccati
da forche fittili,
una luna di Vincent
si sgretola
in cerchi concentrici,
Il cuore velato di traumi
si placa nel nero.
Rottami di rame dispersi nel cielo
arpeggiano suoni aciduli,
vibrazioni di stelle
friniscono.
Pendono sogni impiccati
da forche fittili,
una luna di Vincent
si sgretola
in cerchi concentrici,
Il cuore velato di traumi
si placa nel nero.
Trafigge il sole
l’immutata bellezza
del lago che tu sai.
Aghi di sole il giorno
e di notte la luna.
E polveri di stelle
cadranno sulle onde
a scalfire di noi
piccole memorie
dell’essere stati là.
Alla periferia della notte
una sera stanca e delusa
si trascina fra cenci di luce
seminando coi colpi di tosse
la fatica, gli errori, i rimpianti.
Si rannicchia in un angolo buio
anelando soltanto dormire.
Sarà questo, dunque, l’autunno?
Un’eroica agonia senza sogni?
Senza stelle, né luna, né amore?
Ci sono certe ore
che hanno il grigio dentro
pur esplodendo di colore.
Come adesso che incalza
l’inizio del tramonto
e mi dilania il cuore
il sogno mio tradito
di correre sul mare.
E dopo sarà tardi,
come succede sempre,
da molti, troppi giorni
e riderà di me la luna
correndo sulla sabbia,
spargendo inutilmente
un manto di splendore.
Ancora una volta
la Luna con Giove
m’incanta.
Un dialogo di dei
che si consuma
srotolando parole
d’oro nel silenzio
siderale, segrete
al nostro orecchio
mortale. Curioso
e lontano,
inadatto a capire.
Pizzica l’aria
un gruppuscolo
di note accordate,
sospinte dal vento,
vorticando.
Come vorrei, o Luna,
entrare in un varco
spaziotemporale,
piccolo come una toppa
di chiave,
un’anomalia musicale.
E perdermi, infine,
unica mortale,
nel vostro mondo
accogliente,
conoscere il tutto
e mai più ritornare,
vedendo, sapendo,
continuando ad amare.
C’era la luna grande, quella notte a Livorno,
era sguaiata, discinta, spettinata
slabbrata sui contorni, come una donna sola
e molto disperata. Si affacciava alla soglia
di un cielo iperstellato e non so chi aspettasse,
ma aspettava.
Io zigzagavo in auto per un pastoso sonno,
in veglia per te, piccolo ladro del mio cuore,
mio cucciolotto da pochi mesi nato,
così malato da sembrare alato, come un angelo
che sta per ritornare là, donde fu mandato.
Così pregai la stella più vicina alla gran madre luna
che le dicesse all’orecchio di aspettare,
non aveva bisogno quanto me di quel tesoro,
garante della mia felicità e della stessa vita
di chi l’aveva accolto nella sua dimora.
E poi, la mattina,
com’è bello lo spiaggiarsi
della sabbia quieta
dopo la marea lunare,
con il ventre pregno
delle carezze del mare,
segni di onde,
onde disegni,
stese ad asciugare!
Verso le dune
corre ancora
l’orma del trampoliere.
Oggi la luna
tramonta a quest’ora
e l’alba si spoglia
stracciandosi le vesti
in piccoli brandelli rosa.
Parliamone, allora, di questo mio viaggio
di rutilanza ad occhi chiusi e luce surreale,
perché, da adesso in poi, non mi vorrei svegliare…
Godermi per un poco la follia che tutto scusa,
la pelle nuda esposta al vento di una scia stellare,
frusciando di atomi eccitati e pioggia nucleare,
tanto, se do retta agli altri che non fanno che parlare,
senza peraltro mai una volta degnarsi di ascoltare,
mi ridurrò in amorfa poltiglia cerebrale,
pronta da impanare, per la frittura all’italiana,
ma non più buona per poter pensare.
Quindi ho deciso che partirò con Aladino,
su un sericeo e ben drogato tappetino
e mi darò al lusso anch’io di delirare,
conservando tuttavia il mio senno sulla luna
in attesa che qualcuno se lo venga a conquistare.
Mi pare di vederti, lì affacciata,
alla finestra aperta sulla vita.
Vive la tua pelle di carezze
e il vento questa sera passerà,
alitando un soffio caldo
sulla tua bianca pelle,
il passato nel futuro muterà.
“Ancora amore, Mida, ancora
ti doneranno presto queste stelle!”
cantano i grilli dai trifogli in fiore
di buona sorte profeti e dispensieri.
Nella cornice bianca sulla notte nera
chi passa non ti vede, ma ti sente,
come un enorme battito di cuore
e forse chi ha fortuna percepisce
dei tuoi capelli biondi il timido bagliore.
Ma ti ricordi, cara Mida, questa sera,
com’era bello il nostro antico mare,
dove la notte su pattini d’argento
incideva fantastici sentieri
e scintillava di stelle l’orizzonte
e lontane danzavan le lampare?
Canta per me quella canzone vecchia,
che parla della luna e di perduti amori,
e fai la voce scura e passionale,
così ch’io ascolti e finalmente pianga
su quello che non può più ritornare.
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