Livorno di luna
lieta s’illuna…
Un solo gioiello
e mille storioni
a nuoto guizzanti
in laghi lontani…
Livorno di luna
lieta s’illuna…
Un solo gioiello
e mille storioni
a nuoto guizzanti
in laghi lontani…
Non vidi l’altra sera
volare via da Vega
lo sciame delle Liridi.
La luna era nebbiosa…
Sai, quando venne l’ora
avevo chiuso a notte
le mie mille finestre
negandomi quel cielo,
col petto rattrappito.
Il cuore della casa
a chi passava fuori
apparve nero nero.
Percorrevamo un’alba sterrata
che confinava con pozze di bruma
e sentivamo le urla del mare
che si acquattava dietro la duna.
Un sangue chiaro colava dal cielo,
come un martirio di vergine bruna,
carni straziate e seni di latte
e veli azzurri a coprire la luna.
Qualunque cosa avessimo dentro
l’eterno sbranava in voraci silenzi.
E fu così che perdemmo l’amore
fra gigli di sabbia e taciute parole
e stupefatte ferite nel cuore.
Rottami di rame dispersi nel cielo
arpeggiano suoni aciduli,
vibrazioni di stelle
friniscono.
Pendono sogni impiccati
da forche fittili,
una luna di Vincent
si sgretola
in cerchi concentrici,
Il cuore velato di traumi
si placa nel nero.
Trafigge il sole
l’immutata bellezza
del lago che tu sai.
Aghi di sole il giorno
e di notte la luna.
E polveri di stelle
cadranno sulle onde
a scalfire di noi
piccole memorie
dell’essere stati là.
Alla periferia della notte
una sera stanca e delusa
si trascina fra cenci di luce
seminando coi colpi di tosse
la fatica, gli errori, i rimpianti.
Si rannicchia in un angolo buio
anelando soltanto dormire.
Sarà questo, dunque, l’autunno?
Un’eroica agonia senza sogni?
Senza stelle, né luna, né amore?
Ci sono certe ore
che hanno il grigio dentro
pur esplodendo di colore.
Come adesso che incalza
l’inizio del tramonto
e mi dilania il cuore
il sogno mio tradito
di correre sul mare.
E dopo sarà tardi,
come succede sempre,
da molti, troppi giorni
e riderà di me la luna
correndo sulla sabbia,
spargendo inutilmente
un manto di splendore.
Ancora una volta
la Luna con Giove
m’incanta.
Un dialogo di dei
che si consuma
srotolando parole
d’oro nel silenzio
siderale, segrete
al nostro orecchio
mortale. Curioso
e lontano,
inadatto a capire.
Pizzica l’aria
un gruppuscolo
di note accordate,
sospinte dal vento,
vorticando.
Come vorrei, o Luna,
entrare in un varco
spaziotemporale,
piccolo come una toppa
di chiave,
un’anomalia musicale.
E perdermi, infine,
unica mortale,
nel vostro mondo
accogliente,
conoscere il tutto
e mai più ritornare,
vedendo, sapendo,
continuando ad amare.
C’era la luna grande, quella notte a Livorno,
era sguaiata, discinta, spettinata
slabbrata sui contorni, come una donna sola
e molto disperata. Si affacciava alla soglia
di un cielo iperstellato e non so chi aspettasse,
ma aspettava.
Io zigzagavo in auto per un pastoso sonno,
in veglia per te, piccolo ladro del mio cuore,
mio cucciolotto da pochi mesi nato,
così malato da sembrare alato, come un angelo
che sta per ritornare là, donde fu mandato.
Così pregai la stella più vicina alla gran madre luna
che le dicesse all’orecchio di aspettare,
non aveva bisogno quanto me di quel tesoro,
garante della mia felicità e della stessa vita
di chi l’aveva accolto nella sua dimora.
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