Mi ricordo giganti di sassi,
una terribile arsura,
nessuna gioia la meta
e un brutto ritorno a fatica.
Tutto ebbe inizio quel giorno,
da là io continuo a cadere
verso il fondo del tristo finire.
Mi ricordo giganti di sassi,
una terribile arsura,
nessuna gioia la meta
e un brutto ritorno a fatica.
Tutto ebbe inizio quel giorno,
da là io continuo a cadere
verso il fondo del tristo finire.
Cara nonna Amalia,
mai ti celebrai,
antesignana schietta
del vivere con sé.
Oggi mi hai suggerito
dalle remote nebbie
dove tu vivi ancora,
adesso io lo so,
“trinke, trank, getrunken,”
con tutto il paradigma,
così io brindo a te.
Mi accorgo solo adesso,
guardando il calendario,
che è il tuo compleanno
e vorrei dirti quanto
ho amato quei momenti
ad asciugare i piatti
o a pulire il pesce
e ridere con te
nella cucina ingauna
col lavandino in marmo.
Avevo cinque anni,
ma non li scorderò,
tu mi cantavi i lieder
e io rivedo ancora,
tutti quei sogni dolci
difficili, in tedesco
e mi auguro davvero
che nel tuo Paradiso
tu abbia sempre accanto
“die engel” biondi e santi
di cui cantavi a me.
La foto che ho scelto per illustrare la mia poesia ritrae nonna Amalia nel 1929
A passi di viandante
il tempo se ne va.
Stivali di lancette
picchettano il quadrante,
congenita zoppìa
divide in passettini
il giro dei destini.
Tic tac tic tac tic tac,
sempre lo stesso ritmo,
dipende dalla meta
quanto sia svelto o lento…
Rottami di rame dispersi nel cielo
arpeggiano suoni aciduli,
vibrazioni di stelle
friniscono.
Pendono sogni impiccati
da forche fittili,
una luna di Vincent
si sgretola
in cerchi concentrici,
Il cuore velato di traumi
si placa nel nero.
Te ne vai, befana mia,
verso una microluna lontana,
salutata dal coro dei lupi,
incalzati da urgenze d’amore.
Un puntino lassù, controluce,
eppure sei tu, amica strana.
Nella penombra guardo
il letto addormentato.
Conserva nelle pieghe
sue disfatte
ogni notte un pochino
di respiro,
quando affrettava
i battiti il mio cuore,
mentre la bocca
ripeteva “ancora!”
Ah, l’amore,
mai sentito freddo
In quei momenti…
E adesso cose opposte,
sofferenti, ed il rumore
del concentratore,
l’ossigeno che arriva,
per fortuna, e tu, che,
come sempre,
“mi” respiri…
Auguri speciali e tutta la mia gratitudine agli addetti alla consegna dell’ossigeno (io ne conosco due, per motivi, io credo, di turnazione,) che ogni Venerdì mattina mi portano la bombola, una finestra aperta sull’aria fresca di una vita indubbiamente migliore. Non c’è sensazione più bella del respiro che “funziona” e questo l’ho capito solo quando mi ha tradito. E lo fanno con gentilezza e col sorriso. Buon Anno a loro e a tutti quelli che passano di qua.
Un insensato mondo
di membra esplose,
e chi più è forte
più ne sbudella…
Questo è il Natale
ai nostri giorni,
di noi nati stolti
sotto mendace stella.
Auguro io soltanto
di avere il cuore calmo,
a tutti quanti, non freddo,
ho detto calmo,
per non avere fatto
entrare il male.
Auguro Buone Feste a tutti quelli che passano di qua, sempre o saltuariamente, ringraziandoli per il tempo che mi dedicano leggendomi, un grazie particolare a quelli che si fermano un po’ di più e condividono esperienze e attimi di vita. Auguro a tutti serenità e pace nel cuore, auguro a tutti di provare la forza dell’amore.
Scalogni
Patate
Odori
Mele
Pasta sfoglia rettangolare
E non poterci andare!
Io resto qui a covare
la mia patologia complessa,
l’ha detto la dottoressa,
senza voler rischiare.
Grissini
Marmellata
Pesce fresco
Oggi io non esco.
Olio evo
Formaggi
Affettati
Latte
Qualche surgelato
Devo aspettare
un giorno soleggiato.
Salsa di pomodorini.
Con le lacrime agli occhi
guardo gli scontrini
e aspetto i miei destini.
Tristissima di povertà non sonora
-non mi lamento, non piango, non racconto-
mi sfogo sull’eczema di un braccio e poi mi fermo.
perché il sangue romperebbe il segreto.
E mi vedo sul greto del torrente di Albenga,
quando ancora non sapevo niente di niente
e per questo speravo e ridevo ed ero il re
del mio piccolo mondo, che confinava col mai
e col sempre, per quanto vicina io ero alla nascita
e lontana, lontana dalla mia morte. Eppure
qualcosa intuivo, quando la sera vorace
si mangiava la mamma, se nessuno accendeva
la luce di casa e il suo bel viso un po’ triste
splendeva nel bagliore inquietante dei lampi
e, in fondo in fondo, la Gallinara era nera,
o quando la mite oca bianca delle rive del Centa,
senza volere, mi feriva con la lingua coperta di denti
se con la piccola mano le davo il mangiare
e io ci rimanevo molto male… Perché mi morde?
Così adesso sono tale e quale a quel tempo
e, da dentro il cuore, esigerei esser nutrita
d’ amore e mi vergogno, lo so che non va bene,
ma vorrei averne almeno quanto ne ho dato.
Pareggiare, in questa maremma amara di ora,
quasi tutti i conti e, posta la mummia semiviva,
l’indegna quiete in cui mi trovo bendata adesso,
sul letto di tutte le sere, morire finalmente d’amore.
Clamoroso, mi sto rompendo!
Sento quel bang nel cuore,
poi non mi muovo più per ore.
Sono un guerriero finito,
con una spada nel fianco,
non vedo né pace né gioia,
né, tantomeno, ritorno.
I miei alleati più fidi,
guerriglieri giorno per giorno,
cioè i miei desideri,
anche quelli cretini,
sono stati glassati
da mix micidiali di statine
e voracemente inalati
da ossigenazioni forzate.
Così ora respiro e non vivo,
con un albatros morto
che mi pende dal collo
e questo è quanto.
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