Tristissima di povertà non sonora
-non mi lamento, non piango, non racconto-
mi sfogo sull’eczema di un braccio e poi mi fermo.
perché il sangue romperebbe il segreto.
E mi vedo sul greto del torrente di Albenga,
quando ancora non sapevo niente di niente
e per questo speravo e ridevo ed ero il re
del mio piccolo mondo, che confinava col mai
e col sempre, per quanto vicina io ero alla nascita
e lontana, lontana dalla mia morte. Eppure
qualcosa intuivo, quando la sera vorace
si mangiava la mamma, se nessuno accendeva
la luce di casa e il suo bel viso un po’ triste
splendeva nel bagliore inquietante dei lampi
e, in fondo in fondo, la Gallinara era nera,
o quando la mite oca bianca delle rive del Centa,
senza volere, mi feriva con la lingua coperta di denti
se con la piccola mano le davo il mangiare
e io ci rimanevo molto male… Perché mi morde?
Così adesso sono tale e quale a quel tempo
e, da dentro il cuore, esigerei esser nutrita
d’ amore e mi vergogno, lo so che non va bene,
ma vorrei averne almeno quanto ne ho dato.
Pareggiare, in questa maremma amara di ora,
quasi tutti i conti e, posta la mummia semiviva,
l’indegna quiete in cui mi trovo bendata adesso,
sul letto di tutte le sere, morire finalmente d’amore.
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