Pazza felicità dei tempi andati
perfetta per speranze e intensità
dei sensi, che, quando mi sfioravi,
foglia a foglia, alitava gemmato
il suo vento fino farmi tremare…
Fu primavera, allora,
adesso è sempre inverno.
Pazza felicità dei tempi andati
perfetta per speranze e intensità
dei sensi, che, quando mi sfioravi,
foglia a foglia, alitava gemmato
il suo vento fino farmi tremare…
Fu primavera, allora,
adesso è sempre inverno.
Anche oggi la solitudine
m’affama d’amore
e tanto più il silenzio
scava solchi nel mio cuore
quanto più il frigido inverno
tacita e spoglia le aiuole,
non più trilli né rose odorose,
ma caduta di foglie,
di speranze, di voglie,
così che il sogno di andare
diventa mendace chimera,
resterò qui, aspettando la sera…
(Non so mai se pregare
che non cambi più niente
o che qualcosa si muova.)
Chissà mio padre
e la mia mamma,
quattr’ossa ben esposte
all’anemia del sole
d’autunno boreale…
e poi percuoterà l’inverno
adunco coi suoi rami
inquieti rap tombali
e urla sui crinali,
suicidi collinari,
chissà se parleranno
del nostro assente amore
le vesti da fantoccio
per sempre sull’attenti
e noi così lontane
perdute dentro i tempi
ballando senza freni
la giava secolare…
Non son riuscita a farlo mai,
neanche quest’anno.
E mi si è aggiunto ancora
un altro compleanno.
Ah, rinascessi sempre,
come le stagioni
e fossi, a primavera
già pronta a rifiorire,
come sopporterei l’inverno,
la noia, la paura
e tante cose ancora
che ora non voglio dire!
Dammi consolazione, caro,
regalami qualcosa,
io, come una bambina,
mi voglio risarcire
per quello che non torna
e sono stata buona!
È una giornata brutta.
Perfino ad occhi chiusi
so della pioggia forte
e della grigia coltre
che tutta se la involge.
L’estate in calendario
si farà viva a giorni,
ma qui fa proprio freddo,
ho i piedi nudi e viola
e una coperta bianca
gettata sulle spalle…
Se fossi io l’inverno?
A volte ne ho il sospetto
in questi tristi tempi
di falsi testimoni
con l’anima gelata
da torti ed abbandoni.
Lo so io quanto pesa sulle spalle
questo cappotto che mi trascina via
prendendo vento dalla mia tristezza,
perpetuo inverno della vita mia.
La sola cosa che so fare adesso
è camminare silente in afasia.
La strada è lunga e molto solitaria,
a quanto pare il sole è artificiale,
solo grappoli di luci senza festa
e silenzi dell’anima e del cuore,
neve del tempo, ricordi, nostalgia…
Abbiamo venduto
scampoli di vita
a poco prezzo,
ci è bastato un orecchio
di pietoso ascolto.
Ho venduto parole
alla mia fermata
sotto il portico nero
minaccioso di piccioni
e calcinacci sparsi
mentre aspettavo il bus(se).
Mi hanno venduto
funerali e i loro morti,
spese al mercato
messe dai greci,
e operazioni all’anca.
Si fa per solitudine
di vendersi così.
È stato in primavera
e poi d’inverno
e hanno saputo
che tu suonavi il piano
e che studiavi molto
ed è passato il vento
e tanto tanto tempo,
sei diventato grande
e io non esco più.
Suonano di ossa stanche
i miei già lenti passi nella vita
e più la primavera affanna i rami
di fiori gemme e nidi nuovi
e inventa cieli azzurri e voli
più io mi sento estranea e grave
e più si fa vicino il bianco giorno
in cui mi donerò all’inverno
e gli sarò compagna in gelide contrade.
Guarda come tinge
di rosa il tramonto
questi rami spogli,
così soave
che pare un’aurora!
Se chiudi gli occhi
di fiori di pesco
e di prati si ammanta
l’invernale torpore.
Come gli uccelli
cui per l’inverno
nido e riparo
offre la duna
e cedevole abbraccio,
noi, coppia bizzarra
di bipedi implumi,
migratori senz’ali,
oggi torniamo…
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