Allora bisogna accorgersi di te,
per quel tuo voler essere pungente.
E come sospira la tua bocca densa
di nebbia, o forse fiato di condensa,
masticando le grida di sirene
che mugghiano dal mare alle polene!
Ci dorme dentro tutto quell’amore
che ci accaldava le membra,
l’altra estate, fino alle soglie dell’autunno.
E ora ritroviamo sul cuscino
più cha altro una gran consolazione
per essere vicini e caldi e insieme,
io e il mio amato unico bene
e, questo lo speriamo, lontani dalla morte.
Ti apro le finestre per esserti accogliente
e mi ti diluisci dentro, ma fai bene,
al fondo dei polmoni inariditi,
gustando io il tuo ghiaccio scricchiolante,
il tiepido sorriso del mio amante
e mite, la speranza del futuro,
cantata dalla bocca del camino.
Alla periferia della notte
una sera stanca e delusa
si trascina fra cenci di luce
seminando coi colpi di tosse
la fatica, gli errori, i rimpianti.
Si rannicchia in un angolo buio
anelando soltanto dormire.
Sarà questo, dunque, l’autunno?
Un’eroica agonia senza sogni?
Senza stelle, né luna, né amore?
L’alba tarda
in cucina
ogni giorno di più.
Mi fa male al cuore
aprire le tende
e non vederla più,
al suo posto la notte
è sdraiata sui tetti.
Fra sei minuti, lo so,
alle sette e zero sei,
ritornerebbe,
e il sole con lei,
se però non piovesse
nel grigio uniforme
di un cielo irreale.
Fra poche ore
sarà l’equinozio,
il tempo si adegua
e rotola il tuono,
come se fosse
campana del duomo.
Durerà il giorno
quel tanto che deve,
dodici ore o poco di più.
C’è un mesto colore,
il piombo d’autunno
e mesto è l’odore
di marcio del tiglio
e poi da domani
il giorno si scorcia,
Persefone sposa
va sempre più giù…
Auguro a tutti un felicissimo Autunno!
Come una margherita
l’alba m’è sfiorita tra le dita
lasciandomi impaniata
nello stupore denso
di un giorno senza senso.
Oggi mi dilania i fianchi
la voracità del tempo,
che mi lacera il corpo,
il cuore, il sentimento.
Nel gorgo di un abisso
dal colore azzurro impuro,
come i lembi pesanti
che pendono dal cielo,
si sgretolano gli anni,
le speranze, il mio futuro.
Son finiti ad uno ad uno
primavera, estate, autunno
e manca così poco ancora
all’esizio rovinoso dell’inverno…
Inadeguato pulcino
di uno stormo che vola
cado giù, a conoscere il suolo,
sparpagliando le piume
sopra un pugno di fragili ossa
e la fossa sembra il male minore,
che mi accoglie e distoglie
dall’emorragia di dolore
e l’autunno così rosso di foglie
pare un cuore che accoglie,
così giallo e arancio di foglie
pare un letto caldo di sole.
Ma come è strano mangiare
le caldarroste sul mare,
con questo autunno, poi,
che è così lento a venire…
A me piaceva a Torino,
ed era vicino il Natale ,
con i regali occhieggianti
dalle vetrine eleganti
e il Po e la Dora sdraiati,
quasi del tutto svestiti,
vicino a Piazza San Carlo
e c’era mio padre al mio fianco
e io gli cercavo la mano,
aveva il cappotto pesante
e, con il freddo che c’era,
-da farci fumare il respiro-
metteva i marroni bollenti
nelle sue tasche capaci,
li mangiavamo contenti
e i cuori ridevano piano…
Chissà mio padre
e la mia mamma,
quattr’ossa ben esposte
all’anemia del sole
d’autunno boreale…
e poi percuoterà l’inverno
adunco coi suoi rami
inquieti rap tombali
e urla sui crinali,
suicidi collinari,
chissà se parleranno
del nostro assente amore
le vesti da fantoccio
per sempre sull’attenti
e noi così lontane
perdute dentro i tempi
ballando senza freni
la giava secolare…
Gustammo ierlaltro
rosse perle d’estate
sapidissime ancora
e d’amore e di mare…
Io berrei volentieri
solo un sorso di acqua
per levarmi di bocca
il retrogusto di sangue
che passione lasciava,
è già tutto passato
e un inverno precoce
ruba il passo all’autunno,
sono piena di tosse
e la febbre mi trema
nella voce grattugia
e lo strano di questo
è che sono contenta,
ma contenta di tutto
e mi basta il furtivo
e notturno cercarti
per rubarti il calore
che si spande dal corpo
con la punta del piede
e tu dormi e stradormi
e nemmeno ti svegli.
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