Si abbatte dentro il mare
al cedere del vento
la fuga dei miei giorni,
un volo di aquiloni…
Si abbatte dentro il mare
al cedere del vento
la fuga dei miei giorni,
un volo di aquiloni…
Così triste
vederti camminare
due passi avanti a me
come a scrutare
la strada del destino…
Una tardiva primavera
mi ha guarito
per non veder rugiade
dentro al tuo sguardo bruno.
No, oggi non vado al mare.
Un cielo mi si muove dentro
e le nuvole sembrano mondi
o larghe facce assorte di Botero…
Così vicina all’inverno,
cavalco il libeccio senza sella
aggrappandomi ai crini,
giù per le valli ombrose
del destino,
senza sosta né meta,
sempre cantando.
Mi gracida la pancia,
un modo futurista
di poetare.
Disperazione gastrica,
malattia metafisica
di un’anima mortale.
La mia fuga sul lago
di ghiaccio di pianto
scivolando le curve
a sfidare il destino.
Gabbiani di neve
a larghe falde
solcano un cielo
che la notte fa nero
palpitando in un volo
felpato. Solitudine
senza eco. Tremori
come alberi vestiti
di gemme d’inverno…
Solo questi fiori dalla notte
il graffio del Libeccio mi lascia:
petali strappati dalla rosa,
code d’equiseto in fuga
dal laghetto increspato…
… Ti lascio la radio accesa
così non resti sola…
Queste le tue parole,
la soluzione spiccia
per il freddo nel cuore.
Poi chiudi la porta
e io spengo tutto,
scendo nel vuoto
e mi metto a gridare.
Nota: Per illustrare questa mia atmosfera interiore, ho indegnamente operato il fotomontaggio di un volto femminile distorto sul celebre, splendido quadro “L’urlo” di Edvard Munch.
Ricominciavo a Settembre
ad amare l’inverno.
Aspettavo il buio, il silenzio,
la precocità della sera.
Il cerchio giallo di luce
disegnato sul tavolo
dal lampadario.
E io ci stavo dentro.
Scrivere. La solitudine.
Il guscio caldo della casa
intorno a rivestirmi l’anima
nuda come una lumaca.
Lo strisciare lento dei giorni,
la lunga scia di parole.
Cercarti. Mentirti.
Dirti: “scaldami, ho freddo!”
Invece era amore…
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