Tutti vogliono Adele,
la scimmietta fedele,
ballerina perfetta
e massaia provetta.
Con la gonna increspata
e la voce flautata
ti ricanta la storia
imparata a memoria.
Nel mio angolo buio
sto da anni in castigo,
non imparo a star zitta,
mi ribello e son brutta,
dico cose indigeste,
non cucino alle feste.
Non nascondo il mio pianto,
e la rabbia o il rimpianto,
non sorrido a comando.
Non mi vuole nessuno
ed ho un nome ribelle
che mi marchia la pelle:
Sono Silvia la strana,
faccio rima con rana!
Non ho più tempo per niente
e allora faccio festa,
cavalco la mia bestia
selvaggia e guerriera
e respiro la sera
che esce esalata
dalle froge anelanti
della mia cavalcatura
e finalmente io grido
così, per cantare la rabbia
e, perché no, la paura,
che disegna ad oriente
il colore infocato
di un’ alba inesistente.
Invece è già notte
e cola dai tetti liquame
di fogna, fango di sugna,
destino soccombente
di un’umanità morente
che non può proprio niente
contro il vero vincente,
un embrione di vita
con tanto potere generante,
forse meno di un prione,
ma molto più di un regnante…
E poi ti accorgi
della falsità del tuo cielo,
è solo un tendone da circo
con un piccolo buco lassù,
da dove sbuca quello vero.
E ti scoppia la rabbia
della gabbia. Povero illuso!
Trapezista professionista,
sempre lì a spenzolare,
per tradizione familiare,
a essere dolce e paziente
e non te ne importa niente,
tu che non volevi essere
buono, almeno non sempre.
E ti metti a gridare
fingendo uno strappo
muscolare. Meglio fare il leone,
ruggire, ruggire fieramente
e, quando la fame ti molesta,
sbranare il domatore con la frusta.
E all’ improvviso capisci
la giovane stella circense,
la bionda, freddissima Alice
delle meravigli più grandi,
che fa sempre ogni cosa
per dimostrare di essere brava
e compiacente. Ma soddisfa
la sua segreta voglia di morte
con le acrobazie più spietate,
senza rete, naturalmente.
Tutta quest’anima malata,
gonfia di rabbia
e verde invidia
abita il tempo
del qui e ora
del povero mondo
che noi siamo.
Non so come sia accaduto
né quando,
ma la contaminazione
è grande.
E naufraga ogni giorno,
arpionando la sabbia
con unghie disperate,
la redenzione,
vinta dai naufragi
e dall’indifferenza
alla morte dell’innocente.
Si consuma della città
l’anima spenta.
In un calmo deserto
di scopi e d’intenzioni
rimangono i palazzi
con i visceri colmi
di fatica di ogni giorno
di rabbia, frustrazioni
e delusioni, il lavoro
dell’uomo, le sue grida.
Sono chiusi anche i bar,
così non berrai, oggi,
raro viandante,
né acqua, né caffè, né vino,
né l’aperitivo a pochi euro
che qui calma il dolore
l’appetito e la voglia
mondana di apparire.
Dove saranno, tutti?
Forse al mare, forse in gita,
a consumare in un giorno
le speranze. Per riprendere,
domani, ad appassire
trasfondendo la vita,
nelle vene sfiancate
di queste grigie strade.
Quando fa brutto tempo
muto il color grigio pietra,
almeno nella parte di me
che sta molto dentro,
vicino al cuore di lava,
e gemito in rosso esondando.
E siccome non mi è concesso
manifestare la rabbia,
fingo di adattarmi,
irrigidisco la faccia
nel manifesto scontento,
rocciosa creatura di lava
scolpita dall’effusivo tormento.
Se dovessi vestirmi
per fare paura,
mi truccherei la faccia
con l’indistinta luce
delle ore della sera
tingendo d’incertezza
le pieghe della bocca
e gli occhi, di paura.
Rovescerei le vesti
in modo che l’esterno
volgesse sull’interno
e il dentro, fuori.
Ho già lavato il manto
muffoso di dolore,
gettarlo sulle spalle
mi donerà il pallore,
il pianto sui miei morti
e tutte quelle ore
passate a disperare
per me, per te, per tutti,
quando ci buttò male.
Cadrà senza rumore
la rabbia dei nemici?
L’invidia dei gelosi
per quello che non ho
si giacerà scornata
dal senso della vita?
O la mia continenza
e la mia grande forza
li manderanno ai matti
perché l’abito vero
mi rende molto onore?
All’improvviso cielo
arancione malato
cipria di grigio
sole in funerale,
temporale,
prima pare rumore
crepitare di fuoco
ma è acqua sul cuoio
verde della magnolia
invadente
ed è settembre,
prima sudare,
poi tremare, sudario,
volano foglie, volano fogli
rabbia di tuoni repressi
in ribellione
fuori e dentro allo studio
fuori e dentro al cuore,
buio in depressione
totale,
campane lontane
sirene.
per la mancata
coincidenza
dei nostri giorni neri,
pensier tristi
e cose affini.
Sarebbe un sogno
mescolare l’amaro
di pianti diversi
e, comunque,
capirsi!
Quando faccio
lo strudel di mele,
penso a mia madre
che con quel dolce
mi curava
il raffreddore.
Forse dovrei
io sperare
che quel tuo ridere
che a volte fa male
per essere così
maledettamente
fuori dal mio tempo
del dolore,
abbia lo stesso potere?
E tu, che te ne fai
del mio ostinato sole
quando dentro di te
c’è il fortunale?
Io, per guarirti,
ti porto sul mare
a passeggiare
e inquino la tua rabbia
con le mie parole vane,
semplicemente
perché, di notte,
tendo a sognare…
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