voragini di passato spalancate
sotto a un presente inconsistente,
pozzo d’acqua lunare
in cui la vanità del giorno
si specchia prima di cadere.
voragini di passato spalancate
sotto a un presente inconsistente,
pozzo d’acqua lunare
in cui la vanità del giorno
si specchia prima di cadere.
Pelle ben tesa
il viso si sdraia
su quello che è stato.
Sono me stessa
presente e passato.
La speranza sarà l’ultima a morire
come gli ombrelloni chiari verdi
aperti sul terrazzo troppo stretto
affacciato sul sole della piazza.
Inventiamoci un’estate al mare,
i rumori del parcheggio sono onde
e la vela che ci porterà lontano,
ormeggiata a portata dello sguardo,
fa cantare nel libeccio alle sue drizze
la promessa del gran viaggio che faremo.
Chiudi gli occhi amore mio, fa meno male
varcare un orizzonte inesistente
che l’amara delusione del presente.
Nota: L’immagine è una mia libera elaborazione digitale di una foto di Google Earth 2017
Mentre il vicino di sopra
mi passeggia la mente
e confondo i suoi passi
con quelli morti della zia,
il passato col presente,
e mangio a colazione
biscotti magri di cartone,
bevendo un te indecente
che non contiene niente,
nemmeno un po’ d’oriente,
canta la voce del mattino,
il merlo nero nel giardino,
fischia una melodia stanziale
e io mi sento molto male.
Sono un pirata storpio
e il vecchio cacatua
che grava la mia spalla
con la sua voce chioccia
mi parla come sempre
dei viaggi che faremo
nei mari più lontani
coi soldi del tesoro
che un giorno troveremo.
Lo fa da troppi anni
e mi defeca addosso,
senza nessun decoro.
Nemmeno io lo scaccio,
non ha più dove andare,
lo sa che non gli credo,
ma mente per amore…
Eliminati dal culto
i miei ricordini,
ovverosia le lettere
e i biglietti d’auguri
dal vecchio comodino,
i denti da latte
di mio figlio bambino,
il mio gruppo Rh
su un cartoncino,
le poesie notturne
su un libriccino,
apro ai cieli del vento
le finestre del cuore
e prendo il respiro
e trovo lo spazio
per il presente,
per voi come siete,
magnifica gente,
amori miei cari,
che siete il mio ieri,
il mio oggi, il mio sempre.
Trentotto decibel
di confortevole noia
È una casa gradevole
e molto silenziosa,
la strada celata
dalla stolta magnolia
e la vita che arriva
tutta molto filtrata
dal passato al presente
nelle stanze dei giorni
e la carta moschicida
di un monotono tempo
spenzolata in penombra
a invischiare da sempre
le zampette dei sogni.
E poi ho deciso di accettare
il balzo nel vuoto del futuro
e questo presente destrutturato.
Mai più interagire col destino,
mai più programmare, ma buttarsi
nell’orgia spesso amara della vita.
La profezia non si può contraddire,
non si può fermare il flusso
univoco della freccia del tempo.
Io ci sono fin che ci sono e vivo
come capita, bevendo il veleno
del tempo che passa, giorno per giorno,
e qualche bicchiere di birra, almeno,
a mia discrezione e piacimento
per dimenticare questo lento
affogamento. Per la morte
non c’è né cura, né prevenzione.
Abbracciami l’anima,
sii presente e passato per me,
e fa che il tuo sguardo,
quando io mi ci sporgo
quasi fino a cadere,
mi lasci vedere il futuro
di una stessa, unica vita.
Niente mi dà più sollievo,
né i miei mobili antichi,
né le foto sbiadite,
né il dondolio tarmato
dei vestiti impiccati
nell’armadio stipato.
È come una palude
di quelle che sprofondi
ad ogni incerto passo
il limo marcescente
del passato nel presente.
Non guardarmi, garguglia,
coi tuo occhi di legno
divorati dai tarli…
Sebbene sia tardi,
riuscirò a spaludarmi.
Molto oltre le pagine del tempo
scriverò il libro che sarebbe stato
se io fossi rimasta ancora e tu
mi avessi amato. E violerò le sue
tenaci leggi, cancellerò il presente
inventerò futuro, richiamerò il passato.
E farò il gesto che avrebbe mosso il mondo
o l’universo, almeno il nostro
e stringerò, oltre il sognato sogno,
fra cento e più anni o già domani,
la tua diafana mano con le vene
che, tremante farfalla, cercherà la mia
in fuga da un millennio o poco meno…
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