Tra poco imbiondirà Maggio
sulle colline di Siena.
Andavo sempre a vederlo
e adesso son qui che ci penso.
Se chiudo gli occhi lo sogno,
coperto dal morbido manto,
splendente di oro e di rosso,
di sole, papaveri e grano.
Tra poco imbiondirà Maggio
sulle colline di Siena.
Andavo sempre a vederlo
e adesso son qui che ci penso.
Se chiudo gli occhi lo sogno,
coperto dal morbido manto,
splendente di oro e di rosso,
di sole, papaveri e grano.
Diremo insieme: Ci fu un maggio freddo
in quella primavera, rammenti che anno era?
Io, che non sono brava con le date,
sospirerò per dire: Tanto è già passata!
E mi ricorderò, rabbrividendo d’empatia,
quanto fu tosta, al tempo, la mia vita
e non da meno fu la tua. Ne parleremo
col sorrisetto saggio e più leggero,
sorvolando le paludi del passato
come farfalle da poco sbozzolate
tu, con le tue ali grandi e colorate,
i tuoi arcobaleni di speranza e attesa,
io sarò un sfinge farinosa e scura,
ma miracolosamente trasformata
da commediante con il teschio in mano
in creatura alata con il teschio addosso,
sempre un po’ cupa, però rinata al volo
e sempre pronta a divorare miele,
grazie a te, alle tue parole d’oro!
Con la voce di plastica
ripetevo perché,
con il fiato già amaro
generavo nel cielo
angosciati polimeri,
doppi, tripli perché.
Tutto nudo sui prati
c’era Maggio in calore,
fecondava la terra
che fremeva di fiori.
Se lo avessi imitato,
se ti avessi baciato!
Dentro al gorgo profondo
di un dolore anecoico
ascoltavo il mio sangue:
Martellava perché,
ripetevo perché.
Arrivò la risposta,
oggettino tagliente:
“Tu sei troppo perfetta,
tu sei troppo per me.”
Il silenzio compatto
generò nebbie insane.
Forse Maggio fuggiva
per paura di noi…
Blande parole tiepide
parlava la sera
sorgendo dal lago,
di grigie brume velata.
Tenace si abbracciava,
come il tuo giovane corpo
al mio, stanco, senile,
il glicine in fiore
al terrazzo sgretolato.
Soavità dei petali,
parole lilla,
quasi non dette,
deliranti promesse
parlavano
le nostre bocche,
corolle tremanti,
penduli grappoli
di baci e sospiri
abbandonati alla notte.
Non era maggio, ancora,
un merlo fischiava,
inesausto, il suo canto.
L’amore, sfinito,
odorava di glicine,
di rimpianto leggero,
pioveva,
piangevi,
piangevo
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