Forse sarà la sera
a raccontarmi,
quando, velato il cuore
e morte le parole,
mi troverà già stanca
perfino per dormire.
Traccianti in luce
fredda i miei pensieri,
non morti, ma silenti
i desideri
ed una strana febbre
che non mi fa morire…
Forse sarà la sera
a raccontarmi,
quando, velato il cuore
e morte le parole,
mi troverà già stanca
perfino per dormire.
Traccianti in luce
fredda i miei pensieri,
non morti, ma silenti
i desideri
ed una strana febbre
che non mi fa morire…
E poi l’altra notte
il varco si è aperto…
Il campanello suona,
(quel campanello
che nessuno mai trova)
e spalanco il portone.
Fuori, solo la notte,
una notte che trema
e io già lo sento,
fortemente lo abbraccio,
finché si fa osseo
e poi cinto di carne
ed è corpo fuggiasco.
Lo trattengo a me contro,
attraverso la soglia,
lo porto alla luce,
e nell’atrio di casa
alla fine lo incontro.
“È Kokoschka” io grido
“è Kokoschka il pittore!”
Chiudo un attimo un occhio
e vedo un suo rosso,
basta un poco di rosso
ed è squarcio nel cuore.
Ha portato per cena
solo umili cose:
una borsa di pane
e verdure in stagione.
Gli osservo i capelli,
sagomati nel nero,
la sua faccia allungata,
e lo sguardo, tagliente,
che seziona la massa
di materie agitate
per dipingermi l’anima
come sempre sa fare,
generoso di linfa.
e di mota e di sangue,
impurità inconfessata
del più puro colore…
Luce accesa
Mi duole il cuore,
mano aperta sul petto
per dimostrare.
Un solo occhio aperto
mi guardi dubbioso,
ciclope irritante.
Dormire, dormire!
Luce spenta
Cataratte di ragnatele
ricoprono i vasti
soffitti della stanza
(quattro metri per quattro)
luce che filtra,
persiana bilenca,
occhi stanchi.
Ovunque pendono
funamboliche funi
e drappi di insonnia
per farmi scendere
da quest’ora infame
(le tre meno un quarto)
al non tempo del sonno,
ma adesso non posso.
Vorrei amarti ancóra,
ancorarmi alla boa
del tuo abbraccio possente.
Ma la tua schiena
mi sdraia contro
un silenzio indifferente.
Il tuo respiro parlato,
molto meno di un ronfo
e poco più di un sospiro,
si lega al mio fiato
così intimamente.
Catturo il tuo braccio inerte
e me lo drappeggio intorno
ancorandomi ancóra a te,
solo io consenziente.
Così non posso fuggire,
perché, se a volte il troppo
non sembra abbastanza,
certe notti ti accorgi
che il poco basta e avanza.
Luce naturale dell’alba
Aggrappate alle fronde
del mio abete invernale
con le unghie dorate
speranze, come piccole fate,
si dondolano sognando,
di luce accendendo
ciò che forse accadrà.
Stamattina c’è una luce azzurrina
che gioca coi raggi di sole
e incorona le pietre di strada,
le torri, la gente, le case.
Somiglia alla luce dei sogni
dove, destrutturando gli anni,
sfilaccio parti di me dal passato
per crearmi creatura fatata.
Sto per amare e con voce da elfo
ne canto l’incanto. Non odi?
Fosti tu il ragazzo al mio fianco…
Quasi una luna
sorge allo sguardo
in camer mia
e lacrime stelle,
intorno a corona.
La luce accesa
pende a calmare
da un pianto di paura
l’anima sdraiata
sul materasso vuoto
dei sogni infranti
che batte i denti
cristallini e tremando
contempla il domani,
nel vacuo universo
del muro scuro.
Cerchi il segreto?
Figlio, è dentro di te…
Piccolo sole è il tuo nome
da indiano. Per quella luce
che ti splendeva dentro,
fin dal primo respiro.
Io ti ho nominato, ragazzo
e con QUEL nome
alla vita ti ho chiamato.
Qua in strada piove da molto.
Mi gusto l’inverno da fuori
a immaginare il Natale
stretto nel riquadro di luce
delle finestre incantate
per sospirare in silenzio…
Il calpestio sulla neve degli anni,
la ghirlanda volante dei sogni.
Non sono i sogni di adesso,
è tutta una vita che scorre,
i sorrisi miei di bambina,
mio padre, mia madre,
l’amore,
il ritorno degli angeli.
Enigma riflesso,
che guizzi ogni notte
tu, medusoide di luce,
tu vivo che fluttui
da mondi di quanti,
imbarca
sulla curva dell’ala
la mia stanca mente
se sei un disco volante…
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