Tra poco imbiondirà Maggio
sulle colline di Siena.
Andavo sempre a vederlo
e adesso son qui che ci penso.
Se chiudo gli occhi lo sogno,
coperto dal morbido manto,
splendente di oro e di rosso,
di sole, papaveri e grano.
Tra poco imbiondirà Maggio
sulle colline di Siena.
Andavo sempre a vederlo
e adesso son qui che ci penso.
Se chiudo gli occhi lo sogno,
coperto dal morbido manto,
splendente di oro e di rosso,
di sole, papaveri e grano.
Qualcosa di ferino
nel viso del faraone,
con quei suoi occhi lunghi
che guardano lontano,
la bocca, grande, molle,
che gronda di passione…
Chissà se ci è riuscito, lui,
a andare in quel suo mondo
dove godersi ancora
i banchetti col suo grano,
i lini e le sue spezie,
gli ori, gli onori e amori
che ebbe da sovrano?
Chissà se la sepoltura
col giusto orientamento,
i cartigli di preghiera
il pianto delle spose
gli ha dato vita eterna
e eterna conoscenza?
Dove è sepolto ormai
il varco temporale
che porta agli altri mondi
dove è proibito andare?
E io, che gli assomiglio,
almeno nel profilo,
che cosa dovrò fare
per essere divino?
Sapendo di andar via,
guardo le due stradelle
che mi erano prigione
e in fondo vedo il mare,
un carcere anche lui,
fatto per trattenere…
Cerco di immaginare,
mi sforzo di provare
l’amara nostalgia
che io dovrei provare.
Come per certi lutti,
adesso come adesso,
non me ne importa niente
di tutti questi giorni
che presto svaniranno,
del vento della sera,
così sapido e algale,
come di un moribondo
che un po’ mi ha fatto male.
Ma poi verrà redento
per esser trapassato
tutto questo mio tempo
che all’ultimo io ho odiato?
Lo so, da sotto il letto,
quell’ultimo mattino,
mi sbucherà un pensiero,
ancora un po’ bambino,
mi prenderà per mano
per farmi ricordare,
ecco, sarà il suo dono,
come quel cofanetto
che avevo in sgabuzzino
e piangerò per tutto
il bello assieme al brutto,
la neve e, sotto, il grano
e la preziosità vigliacca
di ciò che, bene o male,
mai più potrà tornare.
Dopo aver gettato a spaglio
fecondi semi neri, i segni
che traducono i pensieri,
con lo sguardo appagato
ho visto biondeggiare un campo.
Poi le spighe si son svuotate dentro,
e si sono afflosciate al primo vento.
Dove, e perché, io mi domando,
la loro vita non ha più avuto senso?
Ora piove quasi tutti i giorni
e io ci penso. Poveri personaggi
senza colpa, affacciati per sempre
dal quattro agosto di quest’anno
a una pagina bianca, cui manca
la parola fine, la falce, il compimento
del libro e del destino!
Senza mietitura non c’è grano…
Lunedì
umido plastica
guardo la lavagnetta
nella cucina vuota.
Che brutto se c’è vento
e la plastica vola
su e giù per tutto il campo:
bottiglie sopra il grano.
Estetici stormi
di rondini nere
solcano il latteo cielo
intorno alla tua chiesa.
Marta, adorata Marta
adesso dove sei?
Martedì
vetro alluminio
ho rotto sei bicchieri
mi son ferito un dito
e poi mangio da solo.
Penny sta poco bene
Minù sta dimagrendo,
ci manchi, Marta, amore!
Mercoledì
pattume normale
che qui si chiama il secco,
come il mio amico Fabio.
Domani c’è un incontro
del sindaco neoeletto
con tutti i cittadini.
Io credo che non vado.
Notizie non ne dai
non è normale!
Giovedì
niente pattume.
La vita mi trapassa,
scivola via di dosso
come se fosse acqua
ed io l’impermeabile.
Il rumore del frigo
trafigge il silenzio
perfetto della sera.
Dobbiamo cambiarlo.
L’unica cosa
che io so fare, adesso
è portare giù il pattume
ed è molto importante
perché d’estate puzza.
Una sera ho scordato
l’umido e la mattina
prima di andare a lavorare
son corso dietro al camion
col sacchetto di mais
colante. Che sozzura!
La rosa della corte
è ancora più fiorita.
Il ciliegio è uno splendore.
Il grano già biondeggia…
Perché non torni, amore?
Perderai la mietitura!
Venerdì
carta e umido.
Speriamo che non piova!
I giornali diventano
poltiglia grigio scura
anche il cartone è brutto
perde la forma in mano
e diventa molle molle.
Poveri spazzini,
io dico…che mestiere!
Sabato
niente pattume.
Penny ha scovato
le tue ciabatte rosa
con il leone e i fiori
le guarda e poi guaisce,
lo sai che non ti trova?
Marta, se pensi di passare
non chiedo che tu salga…
guarda verso il balcone.
Il gelsomino è cresciuto,
ha coperto tutto il muro
e profuma da morire,
da levare il respiro.
Dove sei, Marta, mio amore?
Ah, la bellezza sublime
dell’anima immortale!
Chiacchiere da preti.
Ti voglio nel mio letto
mi manca la tua pelle
e il suo profumo, amore.
Domenica
niente pattume
niente da fare.
Solo la passeggiata,
da casa al cimitero.
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