Fra gli esopianeti
venivo a cercarti,
invocando nel vuoto
il tuo nome segreto.
Alle porte dei cieli
deposi il mio amore,
quasi certa sperando,
alla fine dei tempi,
di potere incontrarti.
Fra gli esopianeti
venivo a cercarti,
invocando nel vuoto
il tuo nome segreto.
Alle porte dei cieli
deposi il mio amore,
quasi certa sperando,
alla fine dei tempi,
di potere incontrarti.
Mi ero scelta il mio tempo,
solo un piccolo avanzo,
era il tempo del dopo.
Dopo aver provveduto,
con amore, s’intende,
a ogni mia obbligazione
da pagare alla vita,
avrei fatto quel viaggio,
avrei scritto quel libro
e cercato i parenti,
quelli mai conosciuti,
avrei dato una festa
e ti avrei risposato,
a metà per amore
ed il resto per celia.
Sarei stata a New York
sorvolando le guglie
di quei cieli turriti.
Avrei fatto di tutto,
proprio tutto, ma dopo.
Io ora ci sguazzo,
nel mio dopo che è adesso
e mi sento ingannata,
mentre corrono i giorni,
quelli che non c’è dopo,
quelli che “sono stanca”
“sono stanca e malata!”
Per quanto averti
sia impossibile,
piccola chimera
dei miei sogni,
io vorrò darti
motivo di amarmi.
Io ti darò l’Oriente
di albe perfette
e tutti quei cieli
che porto nel cuore.
Tutti i miei giorni
il mio primo pensiero
sarà il tuo viso,
sei tu il mio sole.
Io coglierò i fiori
che sotto ai tuoi piedi
genera terra
al sentirti passare.
Ti darò il gelo
del mio ultimo inverno,
ti darò il fuoco
che accendi nel cuore.
Ti darò il tempo
di ogni respiro,
da quando ti vidi
all’ ultimo giorno,
ti darò il sempre
che ti fa eterna,
perché eterno
è l’amore che provo.
Ci sono certi quadri che
e certi cieli che
e certi mari che
e certi sguardi che
e certi suoni che
e dei colori che…
L’impero delle luci,
io penso sempre a quello,
poi il ghiacciaio,
poi le mie Maldive
e quel tramonto
l’altra sera
e le tue mani che,
sull’organo posate,
cavando note e voce
alla riottosità della tastiera
pallide raminghe
d’inconsapevole profeta
involano il mio cuore
ben oltre alla navata.
Suonano di ossa stanche
i miei già lenti passi nella vita
e più la primavera affanna i rami
di fiori gemme e nidi nuovi
e inventa cieli azzurri e voli
più io mi sento estranea e grave
e più si fa vicino il bianco giorno
in cui mi donerò all’inverno
e gli sarò compagna in gelide contrade.
Ed al resto del mondo
non è dato sapere
quanto un tempo
ci amammo
né dove né quando…
Mi invitavi a danzare
eravamo in cucina
affacciati sui cieli
di quei viaggi futuri
che ora so che mai feci.
Solo un quadro tracciato
dove ancora mi guardi
e trafiggi il mio petto
che già anela sfiorarti
e New York che ci spia,
grattacieli a matita,
non ci resta nient’altro…
Un tempo la mia casa fu tranquilla
ora sul prato congreghe di streghe
e cieli animati da ruote giganti
sussurri di vento se il vento non c’è.
Noi ci capiamo, non c’è divisione,
è l’esterno che preme, il male in agguato,
la neve che pare candore abbagliante
è fiato di maga, che sparge il suo gelo.
Non ne posso più
di come scorre la vita
dei pigolii di nido
di chi ha bisogno di me
e razzolare per vermi
e insettini
senza ascoltare
il richiamo dei cieli.
Crescete, vi prego,
miei nidiacei impigriti,
ché io possa volare.
È l’andare dei cieli
nell’eterno infinito
che trascina la mente
molto oltre il terrazzo
da cui vedo il tramonto.
Le infinite catene
che la vita mi ha stretto,
ogni giorno dal primo,
intorno al cuore ed al corpo
a ogni ora più stanco,
mi trattengono ancora
e ripenso a quel tempo
che ingannava i miei sogni.
Ero giovane, allora…
Confondevo l’amore,
ogni specie d’amore,
con la libertà che mi ha tolto,
conservandomi le ali
per quell’ultimo volo.
Porto con me
istantanee di cieli.
Cieli che fuggono
mentre io vado via
e spargono al suolo,
alle mie spalle,
lembi di azzurro,
gocce di pioggia
ricordi rimpianti…
Commenti recenti