Nella mia casa
libellula dispersa
batte le ali.
Aprirò le finestre
volerà su nel cielo.
Nella mia casa
libellula dispersa
batte le ali.
Aprirò le finestre
volerà su nel cielo.
Più io non distinguo
l’amabile odore
della casa che un tempo
profumava di rose.
Ora non so…
Pare un olezzo
di cimitero.
I petali di te lievi,
le vesti leggere,
i pianti, i sospiri,
i canti, i sorrisi
un vento funesto
di infetti camini
e ceneri asperse
dal crematorio
dipana in volute
e disperde nel cielo.
La città alitava
fiati di neve,
la sentivamo fioca
da dentro la casa.
Già sapevamo,
ma volemmo, indiscreti,
vedere.
Con bocche di persiane
gustammo
il bianco spesso del cielo
e la notte, lì,
liquefatta, discinta,
le vesti slacciate,
sorprendemmo
con gli occhi gialli
dei lampioni
e le carezze arancioni
lascive del parcheggio
deserto (il bar era chiuso.)
Poi ritornammo a letto
contenti
Cromatismi esposti
di un’alba artificiale…
Dio, come mi manca
di poterti amare!
Un gabbiano intanto,
sentinella del grigio,
si riposa sul tetto
dal dover volare…
Fuori il gelido inverno
si colora di pioggia,
ma la casa ripara
e consuma i ricordi
in oppiacei piaceri
e tepori tranquilli,
falsa, onesta, virtuosa.
Per appendere il porta spugne
in bagno, progetti e discussioni.
Intanto la casa nuova cresce,
si abitua ai nostri rumori
profumi e odori e la doccia
rugiadosa calda la sera ci cura
la nuda lenta stanchezza,
poi facciamo insieme il conto
degli scatoloni, che diminuiscono
mentre i mobili si riempiono..
e i cuori, i cuori…battono.
Grazie zia Paolina
per esserti fermata
lungo la salita
che porta su al Bornello.
Lo so, non era vero,
non c’eri tu e io non c’ero,
ma, ai bordi del mio sogno,
vedevo la chiesetta
e tu sembravi viva
e mi sedevi accanto
su quei gradini grigi
che vanno a Santa Marta.
Io sono molto stanca,
ma sono dentro ai giorni,
non è come per te,
che transiti nei tempi
che formano l’eterno
e che, quando ne hai voglia,
ritorni alla tua casa
che ora mi è preclusa,
che fu nei miei bei tempi
la vera amata casa
che sola mi riposa.
La bocca del giorno
s’atteggia
a un non sorriso,
anche il sole
sopra al prato
piange.
Soffro i miei passi
così stanchi.
Il muro della casa
dall’intonaco stinto
stilla
lacrime e sangue.
Ostinato quel tralcio di rose
palpitando di petali chiari
già saluta un ceruleo mattino,
e non sa che la notte sta in casa,
al di là di finestre di esclusi.
La casa del tramonto
ha finestre di cielo
dove bussa la notte
vestita di nero.
Lì respiro del mare
il respiro.
Altro non odo.
Uovo all’occhio
mela e purè,
questo stasera
io mangio
e non desidero altro.
Era il mese di maggio,
ricordi, mammina?
Nonna Amalia
mi portava al rosario
ed il sole al tramonto
decorava la chiesa
con l’ombra lunga
e nera della rosa
che di rosso
fuori splendeva.
Ah, come mi sentivo buona!
Tu, a casa, intanto,
preparavi la cena.
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