Mi piacerebbe da pazzi
lavarmi i capelli
e poi farmi bella
in pochi minuti,
nascosta nel bagno
e aprire le ali
e le mie meraviglie
spargendo dovunque
uscire e volare!
Mi piacerebbe da pazzi
lavarmi i capelli
e poi farmi bella
in pochi minuti,
nascosta nel bagno
e aprire le ali
e le mie meraviglie
spargendo dovunque
uscire e volare!
Come un nidiaceo storno
caduto in un camino
non trovo via d’uscita
al tempo del declino.
Io batto disperata
le ali inette e stanche
e resto dove sono.
Da uno dei nostri cieli
cola una spugna grigia…
E poi c’è un grande vento
che sparge in giro e sperde…
Chiudi quegli steccati,
mio caro amato Dafni,
ché più non esca in giro
un bioccolo di lana
La voglia di fuggire
su ali di tempesta
e morte nel delirio
non è dei miti ovini
che devono restare
nell’esistenza scialba
dei giorni senza sole.
Belare e poi belare
nel chiuso del ricetto
e consumare piano
il loro tenue fiato
l’intelligenza, il cuore…
Il sublime subliminale
vibra sull’arenile,
sostiene le mie ali
e la libertà di volare.
Mi potresti sentir gridare,
sono la poiana in amore
e il falco predatore.
Come sono piena, adesso,
nei confini dell’estasi
tra l’essere e il divenire!
Sono il cielo che si sversa
nell’azzurro ibernale del mare
e trattengo sulle spalle
la neve che si attarda
giù dal colle fino a congelare
le lamine d’acqua
di un breve temporale.
E mi specchio e mi piaccio,
sono il mattino del mondo,
dentro un dio molecolare…
Ancora una volta ringrazio Paolo Scarpellini per questo magnifico scatto, che ispira e illustra la mia poesia
Terrazza al quarto piano,
sciorina le sue ali nel vento
un enorme gabbiano
su un tetto poco lontano
sciogliendo in cielo
un roco canto lento.
Poi vola via contento
dopo l’accoppiamento.
La femmina, sorpresa, resta,
nella prima sera pare mesta.
Diremo insieme: Ci fu un maggio freddo
in quella primavera, rammenti che anno era?
Io, che non sono brava con le date,
sospirerò per dire: Tanto è già passata!
E mi ricorderò, rabbrividendo d’empatia,
quanto fu tosta, al tempo, la mia vita
e non da meno fu la tua. Ne parleremo
col sorrisetto saggio e più leggero,
sorvolando le paludi del passato
come farfalle da poco sbozzolate
tu, con le tue ali grandi e colorate,
i tuoi arcobaleni di speranza e attesa,
io sarò un sfinge farinosa e scura,
ma miracolosamente trasformata
da commediante con il teschio in mano
in creatura alata con il teschio addosso,
sempre un po’ cupa, però rinata al volo
e sempre pronta a divorare miele,
grazie a te, alle tue parole d’oro!
Graziosa foschia
di una terrazza a tasca
che cerca luce
fra le tegole smosse,
emblema di speranza,
il nord che non si arrende…
Amami adesso,
in quest’alba di gesso
che trattiene la notte
sull’ali cinerine,
amami, mio vecchio,
sul letto claustrale
che geme astinenza
dalle durissime molle,
rinnova le nozze
di Filemone e Bauci
nell’infausta pianura
dei giorni più freddi…
È un hotel di passaggio,
un’ incrocio di strade,
il tempo, l’amore,
la meta, l’andare…
Da qualche mattina
conto le rondini,
un calcolo semplice
per saperlo fra i primi:
Sì, stanno migrando,
finisce l’estate.
Quando le guardo
tuffarsi nel cielo,
a ogni alba più grigio,
e ferirlo di frecce
di ali e di gridi,
io non so mai
se quello che vedo
sarà l’ultimo volo
per me o per loro.
Una mezza luna incerta
sta appesa nel cielo
del tramonto dorato
e uno spesso tappeto
di nuvole rosa
stende un soffice invito
a sdraiare la mente,
riposare i pensieri,
ovattare le voci
di indefessi odiatori,
rintuzzare l’invidia
per la mia povertà
e il mio semplice dire,
per la sincerità
che mi mette le ali…
Domani mi vorrei svegliare nuova
come dopo il giudizio universale
reincarnata in un corpo senza tempo
(sempre che io l’avessi meritato)
e un paio d’ali immense per volare.
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