Guarda com’è pesante
questo cielo di pietra!
Forti colonne
a sostenerlo
prima del tuffo
nel mare tormento.
Questo, mio caro,
è il cielo del cuore,
un cielo finito,
come un telo gettato
fra la mia Finis Terrae
ed il tempo che resta.
Guarda com’è pesante
questo cielo di pietra!
Forti colonne
a sostenerlo
prima del tuffo
nel mare tormento.
Questo, mio caro,
è il cielo del cuore,
un cielo finito,
come un telo gettato
fra la mia Finis Terrae
ed il tempo che resta.
Cielo scuro a oriente,
scuro malgrado noi…
Come gabbiani in volo
fendiamo questa vita
con lembi d’alba addosso
e battiti del cuore.
Dove vorresti andare
per perderti con me?
La casa non ci basta,
dolce confino ai sogni,
né il mare di città.
Non voglio più parlare
a gente senza nome
tanto per non morire
con le parole in gola
e quel tormento dolce
che aumenta con le ore,
quando la sera aspetto
perché finisca il giorno
e poi la maledico
perché mi accorcia ancora
il tempo che mi resta,
non voglio più provare.
Forse direbbe il saggio,
che ancora non conosco:
“E allora fai qualcosa!”
E tu che cosa pensi,
tu con gli occhietti scuri,
che mi saltelli attorno,
vorresti tu volare
lontano, ma lontano,
ai limiti del giorno,
vorresti tu trovare
quelle ore tinte in rosso
di cui hai pieno il cuore?
Tanto tormento
mi danno questi sogni,
così che le mie notti
non sono mai rimedio
alla ferinità dei giorni.
E quel pensiero ingenuo
che mi fa quasi esclamare:
“Che bello, si fa sera!”
al buio si tramuta
in un affanno estremo
e guardo, ad ogni ora,
il tempo che mi manca
al sorgere del sole.
La qualità efferata
di squallidi ospedali,
gli inseguimenti a morte
di perfidi assassini
e pazzi squilibrati
e io che scappo sempre,
e sempre al buio pesto,
su strade di montagna
e in fondo urla il mare,
e ancora e ancora torno
a farmi torturare…
Miei cari babbo e mamma,
sapete dirmi adesso
dov’è quel dolce sonno
che si promette ai bimbi,
cantando con dolcezza,
canzoni per cullare,
con fonti al latte e miele,
e pomi tutti d’oro,
palazzi principeschi
e splendidi domani?
L’immagine che ho creato per illustrare la mia poesia intende essere un modesto, ma sincero omaggio all’ artista Vittorio Accornero
Oggi mi è entrato dentro
tutto il piombo che colava
dalle nuvole del cielo
piombo scuro spesso fuso
che mi ha fuso i neuroni.
E tutti a farmi la diagnosi
di una brutta depressione.
Quale depressione?
Ho lavorato tutto il giorno
come un cane, esigo il diritto
di sentirmi uno straccio
e, siccome ultimamente
mi sono capitate tante cose
non dico brutte, dico disgustose,
se percepisco un movimento
come di tempesta intorno
e un inspiegabile tormento,
chiedo pietà a lorsignori
improvvisati dottori
e il permesso di tenermi
stretto il mio turbamento,
caso mai si trattasse
di un avvertimento…
Quando fa brutto tempo
muto il color grigio pietra,
almeno nella parte di me
che sta molto dentro,
vicino al cuore di lava,
e gemito in rosso esondando.
E siccome non mi è concesso
manifestare la rabbia,
fingo di adattarmi,
irrigidisco la faccia
nel manifesto scontento,
rocciosa creatura di lava
scolpita dall’effusivo tormento.
Dicono che quando il tempo
passa da una stagione all’altra
chi di solito soffre il vivere a vita
senta ancora più forte il gravame
della sua lunga condanna a morte.
Io non so se sono malata, ma il vento,
quello lungo dei tre giorni di tormento,
che porta in grembo il mutamento,
mi scaglia l’anima sui cornicioni
e la sfida ad affacciarsi, poveretta,
alla profondità degli orizzonti.
Intanto fa fuggire dalla stia dorata
un’implume voglia di vittoria armata
e mi lascia vuota sola disperata.
Si è aperta ufficialmente
la stagione delle piogge
e finirà settembre,
quando verrà il Libeccio,
e tre giorni d’inferno,
qui, come sempre,
a cancellare tutto,
che, a volte, cara gente,
è meglio che niente.
Meglio di un’estate
non calda, ma snervante,
un tempo senza tempo,
dove non c’era tempo
nemmeno per il mare,
ma solo un gran tormento.
Un vero tormento della vita
è programmare,
quando la giornata è finita
affollare il domani
fino a farlo scoppiare,
dal poco, l’igiene personale,
-mi lavo prima i denti
o prima faccio il bagno?-
a quello che succederà
al mio funerale.
Io voglio che nessuno pianga
e cibo e vino, in abbondanza
e abiti stracciati dal dolore,
come imporrà la circostanza.
Sarà la mia festa a sorpresa,
talmente sorprendente
che mi sorprenderà
protagonista assente.
Mi dispongo a ritrarti
mi arrabatto arrangiando
le dita in tormento.
Perché io son così:
scolpisco la carta
con il mio movimento.
Trascinando nel bianco
il nero inchiostro, lo diluisco
e, mescolando, piallo il livello
fino a quando ne sorge
qualcosa di bello:
uno zigomo stanco
il tuo occhio da rospo,
ed il naso rapace
alle soglie del fosco
sorriso tuo amaro
con le pieghe di scuro
che ci ghigna sul grugno
quanto un tempo hai sofferto.
Per fortuna c’è Facebook
-per noi sei importante-
che, come una macchina del tempo,
mi ricicla i ricordi.
Inquietante.
E tu dove sei,
caro amico di un tempo,
che parlavi parole di carne?
Ho provato a chiamarti
e ti ho trovato disperso
nei tuoi vizi recenti…
E tu, mio legame di sangue,
non potresti fermare
la giostra di Alice,
mio coniglio bianco,
e scendere, per un momento,
e scoprire che il mondo
gira con un tempo diverso
che, vedrai, non ritorna?
Un giorno, per noi, sarà tardi…
Per fortuna c’è Facebook,
dove accarezzare le facce,
e la sua indiscreta finestra
dove, ogni tanto, affacciarci
e gridare all’anonimo mondo,
a tutti, a nessuno, il nostro tormento!
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