Era piuttosto strana la stagione,
piuttosto calda, per essere settembre,
con un’ostinazione nei profumi,
appena dissoluti e putrescenti,
che non sapevi mai, con la memoria,
se fossi a un funerale, al cimitero,
o festeggiassi un grande amore
con una danza, matura e passionale,
bagnata di sudore e di champagne.
Il verde del fogliame ingravescente
in toni gialli, rossi e siccitosi
e l’ombra garantita dal bel legno
del portico coperto dell’hotel…
Swappava un dirigente affaccendato,
un altro che, affannandosi, fumava
e c’era un giovanotto col canino,
che si giocava il suo bel tempo lavorando.
In un angolo, una vecchia un po’ spaesata
scriveva quattro versi rimpiangendo
i tempi quasi eterni del passato
e quei suoi passi bianchi nel giardino,
rincorsi dal destino tramutato
in un giovane suo amante squattrinato.
E c’era un grappol d’uva abbandonato
di color viola e follemente illuso
di poter essere il modello, con le pere,
di un quadro impressionista di Gauguin.
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