Cichorium intybus, sdraiata nel mio azzurro,
infitta nella terra, sopravvivo. Sono forte.
Sopravvivo agli anni. Sopravvivo ai danni,
alla povertà d’amore che di sete mi fa
spasimare. Ma a che vale? Sono talmente bella,
che la mia povertà ben si cela nella veste
da due lire del mercato. Perché so di cielo,
talmente, che la gente pensa che non mi manchi
proprio niente. E mi lascia troppo sola con tre sogni
così stravecchi che oramai non me ne importa,
se non li posso realizzare. Così, nella sabbiosa estate
in riva al mare, impolverata me ne resto ad aspettare
che malgrado me , che non vorrei, finisca l’estate,
questa, come quella che se n’è già andata,
che, malgrado me, finisca la vita. Tutti sanno
che sono molto, molto amara. Ciò che mi rende amara
è la mia stessa risata. Perché mi è duro sopportare
di essere invidiata. Che cosa c’è di tanto appetitoso,
infatti, nella dura scorza di una cicoria da strada?
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