Giochi di tende
disegna il vento
sulle pareti
gioiosamente
e bioccoli porta
di odore di tiglio
mentre racconta
la primavera.
Ora il mio cielo
è in questa stanza
e la speranza
una dolce chimera.
Giochi di tende
disegna il vento
sulle pareti
gioiosamente
e bioccoli porta
di odore di tiglio
mentre racconta
la primavera.
Ora il mio cielo
è in questa stanza
e la speranza
una dolce chimera.
Reclusa nel tramonto
io cerco di fuggire,
ma sono dentro casa,
legata, i polsi e il cuore ,
da questi veli rosa,
da questi drappi neri
con pari voglia in corpo
di vivere e morire.
Portami presto, caro,
fuori da questa stanza,
rompi pareti e indugi,
portami al bel pontile,
a quello strada in legno
che corre dentro il mare.
Per illustrare questa mia poesia, ho scelto una foto di Paolo Scarpellini, che ringrazio per la collaborazione.
Bello che il cielo
entri a quest’ora
a azzurrare la stanza
e non sai se sia ombra
o colore, o luce più densa
e respiri l’immenso
da dentro, scomparendo
pareti, soffitto, pavimento
e tu dolcemente fluttuando,
pensiero fra i pensieri
della mente condivisa
con l’intero universo…
planano sule rosse ombre
dello studio, pareti rosse,
luci rosse, installazione.
Si inseguono, coi gesti
descrivono un sogno,
stridule come rondini
rivivendo il passato,
uno squarcio, un ricordo.
Fuori, intanto, il tramonto
livido grigio si avvolge
nel suo manto mesto
rabbrividendo.
Arrivato è il suono
dell’autobus da sotto,
quattro piani fa,
per essere precisi.
Sono le nove
ante meridiem
e ho preso la febbre,
così tengo il cielo
fuori da me.
Sono isolata
nella mia solitudine
nell’inutile mondo
delle cose importanti,
i piatti, i bicchieri,
la lavastoviglie,
le pareti coi quadri,
il bucato da fare.
Rorida prigioniera
di tosse e di brividi
penso alla gente
che chissà dove va…
Certo che no!
Così facilmente
la notte non passa.
Deve morire filtrando
rigagnoli d’alba
dalle persiana.
E tu, viva carne
accanto al mio
tormentato fianco,
che respiri
e sussulti sognando,
ti devi svegliare.
Rinuncia a quei laghi
di sonno dorato
di sole in cui cadi
continuamente
dopo avermi chiesto
con voce impastata
se è tardi!
È tardi infinitamente
per la mia noia,
per l’ansia
che mi attanaglia,
per la notte svenata
in dolente agonia,
che sviene in deliquio
su queste pareti
di vita finita.
Stanotte volevo evadere con forza
dal mio cielo falso di cartone,
trascendere pareti e muri neri,
aprire le mie braccia oltre l’insonnia
che mi legava il corpo al letto
e all’ossessione losca dei pensieri.
Stanotte mi volevo ri-Creare,
l’anima com’era e un corpo siderale
e mi vedevo spalancare l’ali
a toccare, non so dove, quando e quanto
l’universo e la pietà di un grande cielo.
Sento parlare la sera
parole di campane
e le pareti altrui
giocare coi bambini.
Il buio mangia
il corridoio scuro
la casa già scompare.
Solo questa stanza
mi appartiene. Come la vita,
un breve spazio in luce
che rimane.
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