Sono livida
di lividi circolari,
i succhiotti della morte
sul mio inerme cuore.
Sulle ferite inferte
dal dolore, solo lamie,
divoranti immonde
e nessuno a medicare
il mio inesorabile male.
Sono livida
di lividi circolari,
i succhiotti della morte
sul mio inerme cuore.
Sulle ferite inferte
dal dolore, solo lamie,
divoranti immonde
e nessuno a medicare
il mio inesorabile male.
Quel che mi piaceva veramente da bambina
era sdraiarmi perpendicolarmente all’erta
e rotolare svelta giù da un prato di collina
ridendo come pazze, io, la sorella e la cugina,
ebbra dell’abbraccio della velocità crescente
e del baluginar di sole in cielo e del profumo verde
dell’erba oppressa dal mio fiero corpicino.
Non tutto andava bene. C’erano i sassi grossi
e i rovi di confine, c’erano i lividi e i graffi,
le sgridate della mamma e i vestitini sporchi,
ma, in fondo al gioco, il premio sempre:
la voglia di rifarlo, salendo un po’ più in cima.
Appartengo alla categoria delle donne fortunate in famiglia, ma, quando ero poco più di una bambina ho conosciuto una giovane sposa, minuta, col viso dolcissimo, sembrava un uccellino, che aveva il volto spesso deturpato dai lividi (le botte del marito) che cercava di nascondere con trucco pesante e ciocche dei suoi capelli biondi, trascinate a coprire le guance. Mia madre raccoglieva le sue confidenze, io ascoltavo e guardavo i begli occhi grandi della donna riempirsi di lacrime. Non ho mai dimenticato… come non ho dimenticato mio padre, un uomo giusto e generoso, che fece il possibile per aiutarla.
Condivido volentieri questo post di Enrico Garrou per non dimenticare.
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