Scandita da te,
dai tuoi umori,
dalle tue dita d’acqua
che bagnan le mie dita,
dall’ inutilità del dire
sempre evitando il fare,
così scandita,
scorre la rena amorfa
che un tempo fu la vita.
Scandita da te,
dai tuoi umori,
dalle tue dita d’acqua
che bagnan le mie dita,
dall’ inutilità del dire
sempre evitando il fare,
così scandita,
scorre la rena amorfa
che un tempo fu la vita.
Io sorpresi le dita dell’alba
a esplorare te e me abbandonati
nel groviglio di sogni e di coperte
che ci è dolce dimora e indugio.
Poi più niente.
Perché il sole in deliquio suicida
si era avvolto in precoce sudario
e i drappi funerei dei nembi
rivestivano i passi del giorno.
Vedovile sgranarsi di ore,
già s’intride di pianto il mattino.
Per me accarezzarti
vale tutta una vita,
la tua pelle, le mie dita,
questo scroscio del tempo
che ci scivola addosso
e noi due fermi sotto
all’eterna cascata…
Mi dispongo a ritrarti
mi arrabatto arrangiando
le dita in tormento.
Perché io son così:
scolpisco la carta
con il mio movimento.
Trascinando nel bianco
il nero inchiostro, lo diluisco
e, mescolando, piallo il livello
fino a quando ne sorge
qualcosa di bello:
uno zigomo stanco
il tuo occhio da rospo,
ed il naso rapace
alle soglie del fosco
sorriso tuo amaro
con le pieghe di scuro
che ci ghigna sul grugno
quanto un tempo hai sofferto.
La mia casa saranno
i tuoi capelli bianchi,
le nostre dita intrecciate,
il tuo instabile cuore,
i nostri corpi al buio
vicini, abbandonati,
stanchi.
Scaraventa nel cielo
i pennelli rosati
ed intinti nel giallo
il Pittore impazzito
poi diffonde la chiazza
con le dita pentite
perché provi dolcezza
chi nel viaggio dispera…
Le senti le parole della sera?
Parole che diresti nere
se non fosse per l’azzurro
di un sussurro fra le dita
che ti poso fra i capelli
e fremiti di vento fra le palme
e l’ammassarsi all’orizzonte
di speranze e grigie greggi
del ritorno del pastore
e poi giacere stanchi, noi,
rannuvolando le chimere
in cumuli di cirri e di bufere.
Percorro con le dita
la testa fra i capelli
a cercare, chissà,
i pensieri molesti
nodi da sciogliere
un giorno o l’altro,
e ci vuole coraggio.
Mi tasto la faccia,
dopo tanta assenza
di me da me stessa
per vedermi di nuovo
senza sguardi allo specchio.
Un’immagine viva
sulla pelle in affanno,
un homunculus nudo
con il cuore gigante
squarcia i miei polpastrelli.
Io sono un poco grezza,
impaziente, non posso
finire sempre un quadro.
Dipingo l’idea, poi fuggo.
Non credo nella simmetria,
la fantasia distorce tutto,
amputa dita e sorrisi,
getta a secchiate
i colori dell’anima
sui volti spaventati
Non tirarmi i capelli del cuore
così aridi e secchi
per il vento degli anni.
Non mi pettinare,
voglio l’asprezza
di tutti i miei nodi.
Ma, se volessi provare,
sbrogliali con le mani.
Apri le dita, posale piano,
accarezza i pensieri,
ch’io non debba ancora
lacrimare…
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