Silvia non canta
vano nel quieto borgo
ormai cercarla
Curvo un poeta
di lacrime inonda
lapide bianca
Sparge l’inverno
sulla funebre terra
fiori di carta
Silvia non canta
vano nel quieto borgo
ormai cercarla
Curvo un poeta
di lacrime inonda
lapide bianca
Sparge l’inverno
sulla funebre terra
fiori di carta
Con l’orecchio destro sento
stridere le rondini in cielo
mentre il sinistro registra
correttamente il clangore
della caldaia condominiale.
Benvenuta sia la sordità
del mio muco influenzale!
Ho inventato un profeta
e l’ho messo per iscritto:
È un dismorfico diplope
cui l’occhio destro
ceruleo ammicca e ride ,
mentre il sinistro piange
e a volte butta sangue.
Non gli somiglia forse
Il timido poeta
che se ne sta in disparte
e sempre si lamenta
d’amori e di tormenti
e intanto balla e canta
sull’onda dei suoi sogni
e dei più bei ricordi?
Governa la barchetta
di carta pieghettata,
sul fiume chiaro e scuro
che noi chiamiamo vita
va verso la cascata.
Canta ragazza canta
la tua canzone triste,
così francese per il noir
della sua malinconia,
e nessuno sa se odiarti
per quanto ti lamenti
perché ti manca Parigi
o cercare nel cuore
quel che ancora resta
della voglia sottile
di partire.
Troveremo mai
la stessa lenta Senna
e il tremore di mani
a cercarsi nella luce di vetro
di Notre Dame cattedrale
e le stupite bocche
a promettersi l’eternità
d’amore? E il café Latéral,
così angolare come noi,
a sfamare la voglia
di esser lì, semplicemente
a respirare? Accarezza
col velluto nero della voce,
roca come guanti di dolore,
e specialmente con la erre
arrotondata e guasta
la nudità elegante della noia
di un sogno fuori moda,
dei tappi di champagne,
del vestito di raso tarmato,
dei cerini rubati al Buddha bar,
tutto nascosto nell’armoire,
che nemmeno tu, né noi,
né oggi né mai, riusciremo
dolcemente a disserrare.
Allegra, respira,
suona la lira,
parlane ancora
di cose d’amore,
danza sull’aria
che dolce componi,
amalo in versi,
canta il suo nome!
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