Mi ricordo giganti di sassi,
una terribile arsura,
nessuna gioia la meta
e un brutto ritorno a fatica.
Tutto ebbe inizio quel giorno,
da là io continuo a cadere
verso il fondo del tristo finire.
Mi ricordo giganti di sassi,
una terribile arsura,
nessuna gioia la meta
e un brutto ritorno a fatica.
Tutto ebbe inizio quel giorno,
da là io continuo a cadere
verso il fondo del tristo finire.
Quest’anno me l’ha detto un amico,
non mi ero accorta che fosse “quel” giorno,
troppo delusa dal giro dell’anno, per me, per il mondo,
per la voglia dannata che vedo qui intorno
di non risorgere affatto, anzi semmai di cadere
più in basso ed ancora più in basso,
con Caronte che gode a mandare i suoi remi
e Minosse giulivo che torce la coda verso gli imi gironi…
Tradimento, vendette, cupidigia di tutto,
persino la corsa per accaparrarsi il salmoni,
al supermercato gremito di insaziati procioni…
Non vedo, proprio non vedo resurrezione,
così io mi chiedo se abbia un senso sperare
che la gloria del sole già da oggi trionfi
rosicchiando alla notte solo pochi secondi.
voragini di passato spalancate
sotto a un presente inconsistente,
pozzo d’acqua lunare
in cui la vanità del giorno
si specchia prima di cadere.
A me piacque danzare.
Coi dolorosi puntali
delle scarpette infernali
e con l’acerbità del corpo
provare a ricamare
le magiche storie
del mio mondo invernale.
Ma, quando gemeva
l’assito del palco
e il pubblico immoto
aspettava il mio balzo,
già mentre volavo
avevo paura. Fallire?
Cadere? Adesso ripenso
al mio cuore bambino
e a quella grande paura,
che, per farla farla finire,
ci fa rinunciare…
E poi quella strada strana
tutta coperta d’acqua…
Ho le gambe sommerse
il terrore di cadere
e la pace nel cuore.
Benché aneli la meta
e forse sia attesa
su una soglia di casa
e guidata per strada
dai passi di un uomo
che cammina più avanti
assieme a un bambino,
decido di tornare.
Manca poco al tramonto
e lo splendido cielo
invade i canali colando
il suo oro, il suo rosso
e il sogno d’immenso.
Ritrovare la strada
ora è l’unico scopo.
Alzo gli occhi al cielo,
sola, vedo l’ultimo sole
e ancora una volta io spero.
A tutti i miei lettori auguro un buon solstizio d’inverno, una serena notte , per quanto lunga sia, e un ottimo inverno! Se vi va di leggere tre righe in proposito, cliccate qui
Ho un carico di sonno
e lo porto in bilico
sopra la testa
e mi pesa e mi pesa
verso la fronte
così che pian piano
mi fa chiudere gli occhi.
Però non si può,
dormire, dicevo,
perché è fuori orario,
e così non si fa.
Mi riaccomodo il cercine
d’intrecciata pazienza,
sterpi e lembi di sogni,
poi la grande stanchezza,
in perfetto equilibrio,
per non farla cadere
e, aspettando la notte,
mi rimetto in cammino,
con il collo ben dritto,
a sbirciare la meta,
oltre un monte lontano…
Fra tre giorni sarà un mese
che abitano con me
due Phalaenopsis.
Portano entrambe
sugli steli scuri
un’agile cascata
di farfalle bianche
incapaci di volare
se non nell’atto
finale del cadere.
Dico loro ad ogni sguardo
che mi fanno contenta
senza gridare profumi,
nel totale silenzio,
imitando di Buddha,
cui porgono omaggio
dal ripiano inferiore
della credenza di legno,
la tensione al Nirvana
che già egli contempla.
Laggiù, nel tormentato
antico stagno
dove sepolti stanno
gli sfagni dei ricordi
e le torbiere antiche
dei miei nascosti affanni,
vorrei tornare, un giorno
a calpestare le malferme sponde
ed osservare con spavento i gorghi
e l’affiorare delle grasse bolle
e il loro infausto dire.
E poi cadere piano ed affogare
e ritrovare infine in fondo
il verde molle fiore algale
di quel lontano forse morto amore.
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