nudità tu vedesti?
Le mie fonti, assetato,
di giovane ninfa
anelasti ed accolto
fra i miei seni moristi,
per risorgere nuovo
al divino connubio.
I miei lombi dischiusi
come petali estivi
tu vedesti scostarsi
e con mani commosse
accogliesti tuo figlio
e l’odore di vita
come fiera fiutasti.
Oh, felice animale!
Che momento fu quello!
Piangevamo ridendo
con i baci sgranati
fra i magnifici denti.
Per lunghissimi anni,
l’amore fluendo,
io fui la tua donna,
con la pelle ben tesa
ed il petto fiorente
e mi avesti al tuo fianco,
così forti e felici
e io così bella
e la ὕβρις sfrontata
da sfidare il divino.
E la νέμεσις eterna
alla fine arrivò
e mi prese le carni,
la mia polpa violata
coi suoi morsi staccò.
Il mio corpo corrotto
or sostiene il tuo sguardo,
il tuo ciglio velato
di dolore e pietà.
Ah, gli amplessi dei corpi
or ridotti a un sospiro!
Or le mani soltanto
tu mi stringi di notte
con amore infinito
e a me misera doni
un’eletta beltà.
Certe volte mi baci
appoggiando la bocca
alle labbra anelanti,
mi ci soffi il tuo fiato
mente imploro in affanno:
“Dammi ancora la vita,
un minuto, pietà…”
Piccolo souvenir ospedaliero
che mi si accese
al tardo petto
con baci fondi
da vero amante
-e mi spiava il cuore
e io gli giacqui offerta
in nudità tremante,
ansimando verità
dal respiro incostante-
lui la vide tutta
con il suo occhiuzzo nero
la mia verginità dolente
mentre la lingua secca
mi brancolava in bocca
e l’infermiera sorridendo
un po’ mi consolava….
Ciao, figlio caro,
il domani è diventato oggi,
bene o male, la notte è passata.
Ma passerà la pioggia?
E passerà l’inverno?
Passerà il confino del silenzio?
E sarà la primavera
costellata di fiori
e i visi di baci
e il sole salirà ancora
alto nel cielo
e torneranno a volare
le farfalle nei prati
e tutto di nuovo
diverrà bello davvero?
Sarà saziata
la fame di abbracci?
Sarà l’equinozio
a portarci la luce?
Tu che corri con l’alba sul mare
e vedi la gente arrivare
e ti fermi a parlare,
conosci, o figlio, un profeta
che risponda
a quello che chiedo?
E sarà, lui, sincero,
mostrandoti gli occhi
finalmente chiari?
L’immagine che ho usato per illustrare la mia poesia è una fotografia di Paolo Scarpellini.
Come baccanti di talento,
lasciamoci andare alla gioia,
i motivi per farlo ci sono,
è già giorno, il sole è risorto,
la vita ci pulsa alle vene
e il vento ci gonfia le chiome.
Non siamo antenne del fato,
il futuro ancora non c’è,
distendi al sorriso le rughe,
hai ancora tanti capelli,
sono ricci, son folti, son belli,
a memoria di un tempo che fu…
I tuoi baci mi piacciono sempre
e in fondo mi piaci anche tu.
Come un biscotto al burro la mattina
mi è rimasta indigesta la tua assenza.
Il corpo c’era, ma di un burattino
con le orecchie imperforate in legno
così inadatte a percepire il suono.
Vernice rossa tingeva la tua bocca
a simular parole che non volevi dire
e i baci tondi che non potevi dare.
Una zuppa di latte e crusca scura
cibava la tua fame di fine segatura.
Mentre scolpivo affannate parole
con cellulosa di densa paura,
diluendo col te l’amara saliva
di povera fata che parla da sola,
chiesi mesta alle spoglie del grillo
se t’avesse Geppetto nel gracile petto
scavato con cura il posto del cuore.
Quando io ti davo
baci di camelia,
solo io sapevo darli,
io sola,
e tu fingevi di amarmi
e la passione si tingeva
di petali rosa,
io la credevo eternità
ed era solo primavera.
Sai che mi ricordo ancora
di quello strano addio che non avvenne,
perché sette giorni dopo ritornasti?
Eppure ci rimasi molto male,
eravamo, amore, a Portofino,
là sul monte per guardare il mare
e quando mi parlavi così strano
promisi a me stessa di non telefonare,
né di cercarti mai e ti guardai le mani,
così per ricordarle, casomai…
tanto sottili e chiare, eppure forti e grandi,
e le carezze sparse, fragili farfalle…
Poi l’aria marzolina respirando,
un po’ primaverile, un po’ invernale,
decisi di affidarmi al mio destino,
sicura del nonsenso del lottare.
Se tornerà, mi dissi, sarà perché lo vuole.
Né baci, né promesse, né parole,
né tantomeno lacrime e sospiri,
attesi sette giorni ricamando
piccoli fiori all’ombra del rimpianto.
E ritornasti e son passati così tanti anni,
e siamo ancora e sempre insieme,
che se li conto mi spavento, ma va bene!
Mangiavo mimosa
tingendo di giallo
la bocca già pronta
all’ardore dei baci,
sapore dorato
d’un giovane sole,
con gli arti cosparsi
di polline denso,
molle ornamento
per languidi abbracci…
Ah, tiepido marzo,
perché non ritorni?
E poi ti si sente
alitare il corpo
un profumo di vita
intenso di mare,
ma intorno a un’isola.
Non buttare via
Il tuo respiro di baci
che mi ossigena il cuore
aleggiando gabbiani
sui naufraghi resti
di giorni in deriva.
Tra tutti questi mali
tu sei la mia isola.
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