Mi ricordo giganti di sassi,
una terribile arsura,
nessuna gioia la meta
e un brutto ritorno a fatica.
Tutto ebbe inizio quel giorno,
da là io continuo a cadere
verso il fondo del tristo finire.
Mi ricordo giganti di sassi,
una terribile arsura,
nessuna gioia la meta
e un brutto ritorno a fatica.
Tutto ebbe inizio quel giorno,
da là io continuo a cadere
verso il fondo del tristo finire.
Certe giornate
le avvolgerei proprio
in carta di giornale
prima di buttarle via
nel centro di raccolta
universale,
là dove spezzate
si sfanno le vite,
accumulate rovine
trovano infine
la fine. Io non vorrei
ammorbare l’aria
troppo con le mie.
Ansia da amore,
putredine di viole
e laceranti grida
giallo itterizia
del dolore. Di sera,
l’iris nero solitario
della mia paura,
anche lui a marcire.
In grani di sterile sale
un’usura infinita
della gola. Arsura.
Trascinando il suo carro
impolverato di sole
Apollo stanco
al chiuso lo ripone.
Striglia Eòo, Eto,
Flegonte e Piròo
ed ogni sera li guarisce
con l’acqua dall’arsura
con le mani dalle ustioni
alle povere ali.
Poi la biada…
Non sa se questa
vita eterna sia beata
non sa se a oriente
tornerà per liberare
il sole ancora domani…
Quando vengo da te
col cuore assetato
e la gola riarsa
dal deserto dei giorni,
quando la voce manca
per raccontare,
quando un bicchiere
d’acqua fresca
sarebbe abbastanza
per ricominciare,
quando una mano gentile
che sfiora la fronte
mi farebbe guarire,
da oggi lo so,
tu non sei la mia fonte.
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