La notte già svuota
i suoi lunghi intestini,
budelli intricati
di strade, destini,
di cieche appendici,
di vite sfinite.
Spegne le insegne
anche l’ultimo bar,
quello più in fondo,
quello che giri l’angolo
e poi vedi il mare,
tu sai quale,
proteso sul buio
come la prua
di una nave
pronta a salpare,
con la polena dipinta,
che porta corona,
corona di luna.
E io non so dove andare.
Mi ha buttato fuori
quel ragazzo gentile,
ma alto due metri,
che non è il caso
di litigare.
Riapre alle sei
e prepara i panini
per la gente normale,
che smonta dai turni
o va a lavorare
e vuole mangiare.
A chi lo dico, io, adesso,
che odio il mio letto,
che sembra una bara,
un sepolcro di ghiaccio
da quando è finita
quell’unica cosa
che mi dava la vita,
a chi lo racconto
che non voglio dormire
perché se la sogno
io posso morire?
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