
Forse sarebbe l’ora
di scrivere per te.
Io non ho mai capito
i ritmi del destino
e apro sempre a caso
il libro dei ricordi.
Così, questa mattina,
mi sei tornato in mente,
ragazzo buono e bello,
cui non ho dato niente.
Stavamo sezionando
il Nuphar nel picciolo,
il neon che disegnava
un buio sofferente,
un gruppo di ragazzi
più o meno sui vent’anni
e tu che mi cantavi,
ma sempre sottovoce,
canzoni sui miei occhi
che io tenevo fissi
sul grumo cellulare,
così per non guardarti
e mi batteva il cuore .
Eri talmente giusto,
con il tuo sguardo chiaro,
la voce ormai da uomo,
il corpo di un efebo
ed il tuo ciuffo bruno,
l’accento genovese,
la voglia di studiare,
benché già lavorassi,
che mi ero messa in testa,
io, venere maldestra,
con gli occhi verde lago,
cieca per timidezza,
io, di non meritarti,
non essere all’altezza.
E venne quella sera,
la sera dei leoni
con i faccioni rossi
della contestazione,
che tu me lo chiedesti,
dopo l’osservazione
del fusto del Sambuco,
che dentro è tutto vuoto.
“Facciamo quattro passi?”
Guardavi con dolcezza
verso il carruggio nero,
svelando le intenzioni.
Non so cosa risposi,
ma certo non fui doce
e mai più mi cantasti,
ragazzo, la canzone.
*Verso tratto dalla canzone “Yeeeeeh” di Mal & The Primitives
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