Giochi di tende
disegna il vento
sulle pareti
gioiosamente
e bioccoli porta
di odore di tiglio
mentre racconta
la primavera.
Ora il mio cielo
è in questa stanza
e la speranza
una dolce chimera.
Giochi di tende
disegna il vento
sulle pareti
gioiosamente
e bioccoli porta
di odore di tiglio
mentre racconta
la primavera.
Ora il mio cielo
è in questa stanza
e la speranza
una dolce chimera.
Bello che il cielo
entri a quest’ora
a azzurrare la stanza
e non sai se sia ombra
o colore, o luce più densa
e respiri l’immenso
da dentro, scomparendo
pareti, soffitto, pavimento
e tu dolcemente fluttuando,
pensiero fra i pensieri
della mente condivisa
con l’intero universo…
Poi nella stanza verde
entra la luna piena,
scesa dal cielo appena.
Mentre mi sto spogliando
mi accarezza la schiena…
Voglio portare
tutti i sogni
in questa stanza
e riempirla
fino a farla scoppiare.
E poi dare fuoco,
e intorno al rogo
urlare, danzare.
Voglio ucciderli io
e guardarli morire.
Cercando flussi d’anima
morfologie sonore
di spiriti silenti
suonavi solo il theremin
vibrando di speranza.
Svegliavi le molecole
nel buio della stanza
in vortici invisibili
nasceva la gran danza…
La musica energetica
scendeva giù dai tempi
cantava mondi e stelle,
le nascite, le morti,
la vita prepotente
che eternamente scorre,
un unico respiro
in noi dall’universo,
un unico gran cuore
che batte, batte, batte…
Sento parlare la sera
parole di campane
e le pareti altrui
giocare coi bambini.
Il buio mangia
il corridoio scuro
la casa già scompare.
Solo questa stanza
mi appartiene. Come la vita,
un breve spazio in luce
che rimane.
Voglio sedermi qui,
vicino al tramonto,
guardare il sole
che tinge la stanza
con un pennello
sempre più nero.
Voglio inseguirlo
sul colmo dei tetti,
la posta, la banca,
la torre del duomo,
lo sguardo trafitto
dall’oro dei passi,
scoprire la porta
della sua casa.
Luce accesa
Mi duole il cuore,
mano aperta sul petto
per dimostrare.
Un solo occhio aperto
mi guardi dubbioso,
ciclope irritante.
Dormire, dormire!
Luce spenta
Cataratte di ragnatele
ricoprono i vasti
soffitti della stanza
(quattro metri per quattro)
luce che filtra,
persiana bilenca,
occhi stanchi.
Ovunque pendono
funamboliche funi
e drappi di insonnia
per farmi scendere
da quest’ora infame
(le tre meno un quarto)
al non tempo del sonno,
ma adesso non posso.
Vorrei amarti ancóra,
ancorarmi alla boa
del tuo abbraccio possente.
Ma la tua schiena
mi sdraia contro
un silenzio indifferente.
Il tuo respiro parlato,
molto meno di un ronfo
e poco più di un sospiro,
si lega al mio fiato
così intimamente.
Catturo il tuo braccio inerte
e me lo drappeggio intorno
ancorandomi ancóra a te,
solo io consenziente.
Così non posso fuggire,
perché, se a volte il troppo
non sembra abbastanza,
certe notti ti accorgi
che il poco basta e avanza.
Luce naturale dell’alba
Di poesie che per pigrizia
lascio come ossi per cani
che la notte vorace divori
giacciono i resti già rosi.
Radi lembi di nebbia
funestano ancora la stanza
allungo dal letto le mani
le ritiro trafitte di stelle,
piccole ustioni di sogni
che non si decifrano più.
Io triste non vorrei
che già finisse il giorno…
Da oltre la parete
io so che tornerai
e che sarà bellissimo
e che sarà incredibile,
fin dentro la mia stanza,
faccia di luna, averti,
saperti ritornato.
Non parlerai di te,
del viaggio ormai passato.
Dovrai baciarmi, invece,
baciarmi ancora e tanto
in ogni punto stanco,
di anima e di carne,
per ogni ora e tempo
in cui mi sei mancato.
Commenti recenti