Inerme quasi rotto il cuore
patente sui liquami dell’ora
fa imbibire le sue crepe di creta
dal grigiore ostinato del tempo,
un novembre di cracule e corvi
che fu avaro di cielo e di sole.
E così si consuma la sera,
non diversa dall’inizio del giorno,
con le sue suggestioni angolari.
Con le vesti ormai lacere d’ansia
verso spigoli acuti di muri
si suicida in eterno ritorno
il divino che c’è nel dolore
senza mai lasciarmi morire.
E mi frullano dentro gli aironi
quando grigi nel grigio dei nembi
dal canale spiccano il volo.
Non palude, non mare, non fiume,
una vena nel tempo, il pensiero.
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