A passi di viandante
il tempo se ne va.
Stivali di lancette
picchettano il quadrante,
congenita zoppìa
divide in passettini
il giro dei destini.
Tic tac tic tac tic tac,
sempre lo stesso ritmo,
dipende dalla meta
quanto sia svelto o lento…
A passi di viandante
il tempo se ne va.
Stivali di lancette
picchettano il quadrante,
congenita zoppìa
divide in passettini
il giro dei destini.
Tic tac tic tac tic tac,
sempre lo stesso ritmo,
dipende dalla meta
quanto sia svelto o lento…
Lui è tornato,
il trombettista stonato
di besame mucho,
e ha ampliato il repertorio,
dopo un mese e passa
in cui era sparito.
Suona all’angolo di casa mia,
stasera a quest’ora,
che, col fuso orario
di questa mia città
indolente da sempre,
è l’ora dell’aperitivo
e non ci sono santi.
Chi allatta, allatta al bar
e c’è un asilo nido
sotto il tendone rosso
al freddo di novembre
ed è pure strappato.
Come il musicista
sgangherato
rattoppa brani alla rinfusa,
pescando fra i buchi
della memoria ubriaca,
così fa l’anima guasta
e cerca nel passato
qualcosa di diverso
dal dolore
e non lo trova.
E suona quasi a morto
la campana della chiesa,
ma non potrebbe
adeguarsi, dico io,
a questa nostra volontà
disperata di sperare,
adeguarsi al nostro ritmo
e festeggiare?
A me la vita suona dentro,
a volte dissonante,
a volte piano, a volte lento,
a volte andante, a volte al ritmo
pazzo di una giga popolare.
Ed eccoli i miei sogni svergognati
che ballano sull’aia dell’amore
e tutti quegli scheletrì sbiancati
che si percuotono da soli
xilofoni di ossa sul torace
e cantan funebri lamenti
in do diesis minore.
Mi godo le mie pioggie e i cluster
che corrono sui vetri dell’inverno
appena appena prima di gelare
e si flagella il theremin del vento.
I miei pensieri, credo, sono questo,
pentagrammati su ali di colore,
e tutte quelle trombe in fondo
che un giorno squilleranno
il mio improrogabile finale.
Sempre danzavamo insieme,
senza vedere il mutamento
senza sentire il tempo
e poi all’improvviso
ci viene chiesto
di mantenere il ritmo
e non è, mio caro,
un ritmo lento,
ma, come si dice sempre,
o sei fuori o stai dentro!
disperatamente
ai tempi che tu sai
ecco perché il ritmo
mi prende
e batto le mani
pateticamente.
Non puoi guardarmi
così criticamente.
Tu in queso momento
sei semplicemente
uno che la musica
non la sente.
Oggi batte più forte
non per motivi d’amore,
questa primavera essendo
assai prossima all’inverno.
Oggi il mio cuore provato
tenta una nuova fuga:
dentro il petto galoppa,
batte forte di paura.
Spariglia il ritmo
in nuovi passi da circo,
l’ambio dei cavalli lipizzani…
l’applauso, il trotto rotto,
il trapasso.
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