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Povertà d’amore

By Poesia No Comments

Tristissima di povertà non sonora

-non mi lamento, non piango, non racconto-

mi sfogo sull’eczema di un braccio e poi mi fermo.

perché il sangue romperebbe il segreto.

E mi vedo sul greto del torrente di Albenga,

quando ancora non sapevo niente di niente

e per questo speravo e ridevo ed ero il re

del mio piccolo mondo, che confinava col mai

e col sempre, per quanto vicina io ero alla nascita

e lontana, lontana dalla mia morte. Eppure

qualcosa intuivo, quando la sera vorace

si mangiava la mamma, se nessuno accendeva

la luce di casa e il suo bel viso un po’ triste

splendeva nel bagliore inquietante dei lampi

e, in fondo in fondo, la Gallinara era nera,

o quando la mite oca bianca delle rive del Centa,

senza volere, mi feriva con la lingua coperta di denti

se con la piccola mano le davo il mangiare

e io ci rimanevo molto male… Perché mi morde?

Così adesso sono tale e quale a quel tempo

e, da dentro il cuore, esigerei esser nutrita

d’ amore e mi vergogno, lo so che non va bene,

ma vorrei averne almeno quanto ne ho dato.

Pareggiare, in questa maremma amara di ora,

quasi tutti i conti e, posta la mummia semiviva,

l’indegna quiete in cui mi trovo bendata adesso,

sul letto di tutte le sere, morire finalmente d’amore.

 

Finché ce ne sarà

By Poesia 5 Comments

Oggi possiamo dirglielo,

a ’sto destino infame,

che noi non ci crediamo

che faccia tutto lui.

È solo un vagabondo,

che vive di espedienti

ben spesso millantando

poteri che non ha,

proprio come quei cani

che abbaiano fintando,

finché rimane chiuso

il cancello che protegge

la loro coda bassa,

un  segno biasimevole

di squallida viltà.

Crediamo appena al fatto

che l’esser messi al mondo

non sia soltanto un dono,

ma anche un forte rischio

di non provare gioie,

amori, feste e fasti,

ma stenti ed abbandono

e che per tutti quanti,

che siano re o bastardi,

la fine della strada

venga segnata sempre

dal marmo statuario,

o quello di Carrara,

o altra pietra o sasso

di bassa qualità.

Perciò, caro destino,

noi ce ne andiam cantando,

finché la voce in gola

non muore di stanchezza

e poi ricominciamo.

Giochiamo come bari,

vogliamo prender tutto

e farlo tutti i giorni,

o meglio a tutte l’ore.

Noi non ti lasceremo

tutti quei tempi morti

che l’ansia e la paura

sottraggono alla vita.

Noi siamo dei ribaldi,

pirati e masnadieri,

disposti a bere tutto,

purché ci sbronzi bene.

Ti sputeremo addosso

dall’alto eroico poggio,

che è anche il nostro abisso,

finché ce ne sarà…

 

 

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