Solo un blando riflesso
di chiesa sfumata
in una vetrata a specchio.
Dilavamento di sabbia e di vento
con quel tanto di pioggia,
ma solo d’inverno.
Nessun rimpianto.
Eppure, al bar qui di fronte,
con un caffè in mano,
per sorbire le ore,
che son sempre più lente
quanto più l’età avanza,
c’è una donna seduta
con l’anima in mano
che guarda e riguarda
la cupola azzurra
nella lieve prigione
di chiaro cristallo
e giochi astratti dei raggi
del sole a settembre
e si domanda
se adesso sta meglio,
che più non si stona
con inni e preghiere,
pentimenti, peccati,
perdoni e campane
per sognare l’eterno, il dopo
beato. O se era più bello
temere l’inferno
che attendere, invece.
l’istante più odiato,
quell’attimo prima
dell’essere stato.
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