dalla viltà del natale
che, dalla vanità della neve
dei suoi accampamenti invernali,
mi raggiunse a Livorno
colpendomi alle spalle
con una pugnalata
sottoscapolare,
pneumotorace esistenziale,
mi rifugiai al triage
di quel piccolo bar
di via Grande
per respirare.
La cameriera,
vestita normale,
mi domanda operosa
che cosa mi può portare
“Una cioccolata calda!”
singhiozzai moribonda.
(E chi se ne importa
se fa ancora caldo
sotto l’alito affranto
di un libeccio epocale?)
“Ma che sia dolce non troppo
e molto, molto amara
per buttar giù in pochi sorsi
i miei vecchi vecchi ricordi…”
…Io già sorpresa in agguato,
oramai quasi morta,
mi buttai ieri sera
dentro il letto a riposare.
Verso l’alba,
incalzando ancora
un gran vento e il tenebrore,
riprese a battere piano,
sotto il palmo
della mia stessa mano,
il mio cuore solstiziale.
Per ricominciare…
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