L’altra notte il libeccio
ti ha preso, susino,
schiantandoti al suolo,
crudelissimo vento…
Il volo dei fiori
mi par di vederlo,
protendersi ancora
nel cielo azzurrino,
quasi cantasse
in un candido trillo
l’attesa dei frutti
e la gioia feconda.
Giacendo riverso
mi mostri i tuoi figli,
che mai cresceranno,
non più grandi di olive,
ma gravi nel peso
per tutti i tuoi anni
e le crepe e gli scavi
nel tronco rugoso.
Speranze senili,
mai più splenderanno
di oro e di sole
le tue mirabelle
e io piango, per te,
mio bel mirabolano,
e piango per me,
per tutti questi anni,
per il sapore d’estate,
così dolce e un po’ asprigno,
che non so se ritorna
e intanto lo spero.
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